L’arte e il giudizio estetico

L’arte ossia quella che chiamiamo opera d’arte o opera creativa è la creazione dell’individuo-artista; è cioè il prodotto di un individuo che ha vissuto e vive nel suo tempo e nel suo spazio, che è soggetto di storia e oggetto della storia.

L’individuo è un’entità che nel tempo e nello spazio costruisce giorno dopo giorno la sua mutevole e progressiva identità (cioè la sua storia). Niente esiste al disopra dell’individuo e della sua specifica individualità; al di là di lui esistono soltanto altri individui, ovviamente diversi l’uno dall’altro, perché diversa è la storia personale di ognuno di essi.

L’arte è sempre espressione del suo tempo, cioè del tempo in cui l’artista è cresciuto e in cui vive socialmente e culturalmente; e in cui opera secondo le tecniche in uso, che spesso è lui stesso a inventare, e le conoscenze acquisite.

Come prodotto dell’individuo l’arte è storia; non ha un valore in assoluto, ma un valore legato al tempo e allo spazio; è storia, non metastoria.

L’arte come creazione non è un mezzo, ma un fine; l’arte è disinteressata; lo è anche quando è commissionata. L’artista che crea non ha altri obiettivi, nel momento in cui crea, che l’espressione del mondo che si agita dentro di lui; quando crea, non  pensa a fini morali o sociali o politici o religiosi; se lo facesse, non sarebbe più un libero creatore di arte.

A differenza dell’atto morale, che presuppone di necessità un “altro”, senza il quale la moralità non avrebbe possibilità di esprimersi, l’atto creativo può concludersi in se stesso, anche senza bisogno di fruitori.

La fruizione estetica da parte di altri appare tuttavia come il naturale coronamento dell’atto creativo dell’artista; ed è comprensibile l’ambizione dell’artista che l’opera che ha creato sia conosciuta e sperabilmente apprezzata.

Anche la fruizione è un atto creativo, perché quando gode l’opera creativa il fruitore ricrea o cerca di ricreare in se stesso l’opera goduta; e anche la fruizione estetica è disinteressata come disinteressata è la creazione, perché il fruitore non ha altro scopo, in quel momento, che il godimento di essa.

Ogni artista ha la sua “poetica” ossia una sua interpretazione della propria opera creativa; è l’idea di quello che intendeva creare, non necessariamente l’idea di quello che ha creato. La poetica dell’artista può però aiutare il fruitore e facilitare il suo processo di fruizione.

Appena creata, l’opera creativa diventa una cosa, un oggetto; e come tale, se resa pubblica, si assoggetta ai criteri di valutazione di ogni prodotto, acquistando sùbito anche un valore extraestetico: sia commerciale (la pittura come prodotto da comprare, secondo il mercato, e su cui investire), sia decorativo (i quadri nelle sale di alcuni luoghi pubblici o di case private), anche sociale e politico (come l’antico “realismo socialista”, come i grandi affissi della Rivoluzione culturale cinese); in alcuni casi, specie nel passato, anche religioso (la pittura sacra, la chiesa, il campanile).

Il giudizio di un’opera creativa può essere un giudizio di valutazione critica o un giudizio estetico. Il giudizio critico è una analisi razionale dell’opera, delle sue caratteristiche  concettuali o fisiche (le note, la direzione e l’esecuzione della musica, le parole e la metrica della poesia, i modi e i colori della pittura, il nome e la materia della scultura, la trama e lo stile della narrativa, l’intreccio e i personaggi del teatro, il disegno e le tecniche dell’architettura; insieme, se opportuno, al ritratto dell’autore, alla sua vita, alle fasi della sua attività creativa.  Il giudizio estetico è invece l’emozione, il sentimento prodotto dalla fruizione dell’opera; il termine “giudizio” è parola di comodo, perché etimologicamente impropria; il fruitore in realtà non giudica, ma contempla e si commuove.

Così come l’artista, anche il fruitore dell’opera creativa è un individuo che costruisce la sua identità nel tempo e nello spazio; anch’egli è espressione del suo tempo. E’ quindi soggettivo il suo giudizio critico e ancora di più il suo giudizio estetico; il primo si basa infatti su riflessioni intellettuali a volte comuni anche ad altri, il secondo nasce da un personale stato d’animo.

Nel processo di creazione l’artista cerca di tradurre nell’opera il suo progetto, un brano della sua storia; può riuscirci di più o riuscirci di meno; non sempre ci riesce completamente; e, analogamente, nella fruizione dell’opera creata dall’artista il fruitore, che è anch’egli la sua storia personale, non sempre o non completamente riesce a far suo quel progetto.

La  storia personale  dell’artista-creatore  è  sempre  diversa da  quella  del fruitore,  specie  quando  il  fruitore  non  è contemporaneo dell’artista e non è vissuto e non vive nello stesso periodo storico-culturale. La fruizione è anch’essa una creazione, ma una creazione che non può coincidere con la creazione dell’artista e che non può non essere diversa da fruitore a fruitore; e diversa, anche nello stesso fruitore, secondo il particolare momento di fruizione e secondo il tempo che scorre e che cambia.

L’ambiguità è il principio che caratterizza la creazione e la fruizione artistica: nell’artista-creatore l’ambiguità è nella non completa coincidenza ossia nella maggiore o minore coincidenza fra quello che egli vuole esprimere e quello che in realtà esprime; e nel fruitore l’ambiguità è, sempre, la ovvia non coincidenza fra ciò che l’artista ha espresso creando e ciò che egli, godendo dell’opera, ricrea in se stesso sulla base del proprio patrimonio storico, di cultura e di conoscenze.

Come fatto storico l’arte, cioè l’opera creativa, muta di valore secondo il momento: sia l’artista creatore sia il fruitore sono soggetti e oggetti di storia; sia l’atto creativo sia il giudizio estetico esprimono il momento storico (la storia personale e individuale) vissuto in quel momento dall’artista o dal fruitore.

Il valore di un’opera creativa non è permanente e immutabile, non resta eguale al di sopra del tempo; il grado di valore è mutevole e può essere pragmaticamente quantificato: un’opera creativa è tanto più grande quanto più lunga è la sua fruibilità nel tempo (il numero degli anni o dei secoli) e nello spazio (il numero dei fruitori consapevoli). “E le vele furono ali al folle volo” era alta poesia per tanti al tempo di Dante, è alta poesia ancora oggi per tanti; è un verso che è “più poesia” di tanti altri versi che sono scomparsi e dimenticati nel tempo o che non ci dicono più niente o poco.

La fotografia può spiegare meglio il concetto di ambiguità e la storicità dell’opera creativa; la fotografia segna infatti il massimo dell’ambiguità e il minimo di permanenza del suo valore nel tempo: perché troppo modesto è il potere di creatività dell’autore, che non riversa nella foto il suo mondo interiore ma si limita a vederlo nel mondo esterno, cercando solo di riprodurre l’idea e il senso che ha di esso con ottiche e tecniche scarse (luci, inquadratura, colori) e perché forti sono i condizionamenti (la mutevole realtà che è oggetto dello scatto, e quindi il caso; le caratteristiche del mezzo tecnico, di ripresa e di stampa; la deperibilità del prodotto). Un progresso in questo senso è ottenuto dalla fotografia digitale, che permette una maggiore creatività in sede di elaborazione e di stampa e una minore deperibilità nel tempo grazie alla memorizzazione digitale dell’originale.

Il giudizio estetico è un giudizio storico, pertinente all’individuo come soggetto-oggetto della storia; ogni giudizio individuale è diverso da ogni altro giudizio individuale e ogni giudizio, anche dello stesso individuo, varia secondo il tempo, cioè secondo il suo personale svolgimento storico. Non è possibile una universalità di giudizi (“un’opera ‘bella’ è bella per tutti”), né una gerarchia di giudizi (“quest’opera è più bella di quest’altra”). Non si può dire “questo è bello, questo non è bello”; si può dire soltanto “questo mi piace, questo non mi piace”, “questo mi piace di più, questo mi piace di meno”. Il giudizio estetico è complesso; è basato in prevalenza, e nell’immediato, su fatti emotivi oltre che culturali; ma sono i fatti culturali (istruzione, conoscenze storiche ed estetiche) che spesso rendono possibile o più responsabile il giudizio; e, in ogni caso, lo fanno più approfondito e più valido.

La fruizione dell’opera creativa non necessariamente è accompagnata da un giudizio critico; è soprattutto un “godimento”, cioè uno “stato d’animo” di difficile definizione, oltretutto mutevole: mutevole secondo il tipo di opera, secondo il fruitore, secondo il momento di fruizione. E’ uno stato d’animo che attiene in gran parte al campo dell’inconscio ed è condizionato dal patrimonio di esperienze e di cognizioni culturali che l’individuo ha costruito dentro di sé giorno dopo giorno.

Il “godimento” può essere diverso secondo il genere artistico, di più facile o meno facile fruibilità: la musica, la poesia, la narrativa, il teatro sono generi più facilmente godibili della scultura e dell’architettura; e nella poesia, per molti, certi tipi di poesia piuttosto che altri; e nella pittura, per alcuni, la pittura figurativa piuttosto che la pittura astratta e, grazie agli apprendimenti scolastici, certo autori ormai codificati dei secoli passati meglio di autori moderni. In alcuni casi il godimento è virtuale: si apprezza un’opera soltanto perché si ritiene che si debba apprezzarla o perché così propongono critici d’arte, persone che consideriamo esperti o amici e conoscenti che stimiamo.

Qualsiasi fatto può essere effetto o stimolo di fruizione estetica cioè di godimento; anche i fenomeni naturali (un paesaggio, un tramonto), anche la bellezza fisica (di un umano o di un animale). Il tipo di fenomeno e il suo valore (che non è creativo e non presuppone nel fruitore una particolare educazione culturale) è diverso, ma non è diverso il tipo di fruizione (salvo il livello del godimento e la complessità del giudizio).

Il cosiddetto “falso”, cioè la copia di un’opera creativa, non necessariamente è un falso; a volte può avere una sua autonomia; essere un’opera creativa quasi quanto l’originale; dipende dall’autore e dalla sua potenza creativa

E’ possibile una distinzione fra i generi artistici (la poesia, la musica, la pittura, la scultura, la narrativa, il teatro, l’architettura; anche la fotografia) sia per il diverso modo di fruibilità e per la diversa e maggiore o minore ricchezza dei contenuti di possibile fruizione nel tempo e nello spazio; sia per la maggiore o minore difficoltà tecnica di corrispondenza fra il progetto creativo e l’opera creata; sia per la maggiore o minore possibilità di circoscrivere al solo creatore la paternità dell’opera o di estenderla a collaboratori (si pensi alla pittura “di bottega” dei secoli antichi; si pensi all’architettura e al suo necessario connubio con l’ingegneria); sia per la maggiore o minore “deperibilità” del prodotto creato (si pensi alla cosiddetta “arte povera” o alla fotografia analogica).

La distinzione fra generi artistici è anche nella loro maggiore o minore “deperibilità”, cioè nella diminuzione di consenso nello scorrere del tempo; musica, poesia, pittura, scultura, architettura sembrano privilegiati rispetto alla narrativa e al teatro; ma in realtà la valenza artistica dipende dalla più rigida selezione naturale che il tempo esercita sulle opere creative di questo o quel genere artistico; e dalla maggiore e più rapida mutazione di cultura e di gusti che colpiscono alcuni generi (pittura, narrativa, teatro, architettura, soprattutto la fotografia) rispetto ad altri generi (musica e poesia).

La creazione artistica prescinde dalle tecniche impiegate e dal materiale utilizzato; in pittura è indifferente l’uso dell’olio o della tempera o dell’acrilico e nella scultura l’uso del marmo o del bronzo o del gesso o del metallo; lo stesso vale per il mezzo e la tecnica con cui avviene la creazione: la penna del poeta, il pennello del pittore, lo scalpello dello scultore, la matita dell’architetto, gli oggetti della cosiddetta arte povera; anche i bit del digitale; e così la carta o la tela o la vernice o gli oggetti o i mattoni o il cemento e così via.

I vari e diversi generi artistici hanno in ogni caso una caratteristica eguale e comune: il risultato, cioè il godimento da parte del fruitore.

La critica d’arte (in genere intesa come critica delle arti visive accanto alla critica letteraria; qui la intendiamo come critica di ogni forma di arte) non ha senso nel significato di una analisi del godimento prodotto dall’opera. Il critico ha come oggetto e materia di valutazione il proprio personale godimento, cioè il risultato della sua fruizione, che in nessun caso coincide con la creazione dell’artista e col godimento che l’artista ne trae; e neppure coincide coi godimenti degli altri fruitori. La critica d’arte ha senso quando analizza le caratteristiche dell’opera, i modi e le tecniche della creazione, l’anamnesi dell’artista che l’ha creata, cioè le sue esperienze culturali, i suoi precedenti di creatore; e tutto col compito istituzionale di aiutare il fruitore prima a capire, se necessario, e poi a ricreare dentro di sé l’opera e a godere della sua fruizione.

 

E l’estetica di Benedetto Croce?  La grandezza di Benedetto Croce sta nell’aver fissato, una volta per tutte, non quello che è l’arte, ma quello che l’arte non è, e di avere stabilito gli elementi di base di ogni ragionamento estetico. Il resto dell’estetica di Croce fa parte di quelle “verità” filosofiche che la storia distrugge via via e sono la base delle nuove “verità”. Come omaggio a Benedetto  Croce e come riconoscimento di quanto gli dobbiamo anche nei nostri ragionamenti sull’arte, ecco i versi di Ungaretti che sembrano riassumere il meglio della sua estetica:  “Poesia è il mondo, l’umanità, la propria vita fiorita dalla memoria, la limpida meraviglia di un delirante fermento”.