26 dicembre

Mussolini fa il bilancio di un anno disastroso: dall’ottobre del 1942 l’iniziativa è passata al nemico, che ha respinto l’esercito italiano da Stalingrado al Nipro, da el-Alamein fino ad a Ortona. Ma lui spera ancora.

Consuntivo 1943” è il titolo della nota n. 22 della Corrispondenza repubblicana trasmessa oggi dall’agenzia Stefani. È un documento drammatico e conviene riprenderlo integralmente. Non è firmato, ma lo stile, inconfondibile, è di Mussolini.

“L’anno solare 1943 sta, finalmente, per finire. Dire ‘finalmente’ non è un giuoco di parole, specialmente per noi italiani. È con vero sollievo che lo vediamo finire.

“Questi giorni sono dedicati a stabilire il consuntivo dell’anno che se ne va. Consuntivo militare, ben inteso, poiché di fronte alla gigantesca partita che insanguina il mondo, tutto il resto è secondario ed è in essa assorbito.

“Noi siamo obiettivi, poiché il solo mezzo per dominare la realtà, è quello di riconoscerla nei suoi termini concreti e non abbiamo quindi difficoltà ad ammettere che il bilancio militare del 1943 si chiude all’attivo per gli alleati e al passivo per noi.

“Effettivamente dal 23 ottobre 1942, l’iniziativa è passata nelle mani del nemico, il quale – limitandosi al solo settore terrestre – ci ha respinto da Stalingrado al Nipro, da el-Alamein a Ortona, per migliaia di chilometri.

“Coloro che ci ascoltano sono pregati di non giungere da queste franche constatazioni a precipitose conclusioni, ma li invitiamo piuttosto a seguirci nel nostro ragionamento.

“Anzitutto è lecito chiedersi: potranno, gli alleati, anche nel 1944 conservare quello che, in date circostanze, è innegabile vantaggio cioè l’iniziativa? È ormai chiaro che gli alleati dovranno tentare la creazione di un secondo autentico fronte, in Francia, ma dopo quattro anni di tempo, centinaia di migliaia di lavoratori hanno tramutato il vallo Atlantico in una barriera che – essendo difesa da truppe agguerrite e munitissime – non potrà essere superata nemmeno col sacrificio di ecatombi di uomini. Sbarcare sulle coste occidentali della Francia, è oggi un’impresa sovrumana. Tuttavia deve essere tentata. Il suo prevedibile fallimento determinerà la svolta della situazione.

“In secondo luogo – un esame obiettivo degli eventi – ci porta a questa netta conclusione: “LA GERMANIA NON PUO’ ESSERE BATTUTA”.

“Sul terreno puramente militare, no.

“Dalla Norvegia all’Egeo, dall’Ucraina al Golfo di Biscaglia, i suoi eserciti hanno una sempre intatta capacità di combattimento e di manovra; e, salvo le inevitabili sensibili perdite, la organizzazione militare tedesca non accusa minimamente i segni dell’usura.

“Sta di fatto che le grandi offensive russe hanno riconquistato dei territori già perduti, ma non hanno raggiunto lo scopo che ogni strategia si prefigge: cioè la totale distruzione delle forze nemiche.

“Il numero dei prigionieri tedeschi catturati dai russi si può definire senz’altro irrilevante, data la mole delle forze in campo.

“Che lo sforzo offensivo russo abbia (sic) costato ai Sovieti perdite immense, i bolscevichi stessi lo ammettono e ne fanno – anzi – un argomento di pressione o ricatto verso gli alleati, tardigradi ed esitanti, nella creazione del secondo fronte.

“Ancora una domanda: può l’azione di altri fattori di carattere interno, determinare – come già avvenne nell’autunno del 1918 – un cedimento nell’apparato militare del Reich? No.

“Non il fattore economico alimentare.

“Da questo punto di vista, la situazione non può nemmeno essere paragonata con quella della prima guerra mondiale. Allora, le sofferenze della popolazione furono veramente, ad un certo punto, intollerabili, anche per un popolo come quello tedesco. Allora la Germania sentì il blocco. Oggi è più sensibile la Gran Bretagna.

“Non il fattore politico.

“Il complesso degli istituti politici nei quali si enuclea il nazionalsocialismo, è perfettamente arbitro della situazione interna. Il disfattismo in Germania è inesistente o si limita a vociferazioni isolate, senza risultato. Gli elementi che agirono nel 1918: ebraismo, massoneria, socialismo, democrazia, furono eliminati in tempo utile.

“Non il fattore morale.

“Il popolo tedesco, dal Fuhrer all’ultimo soldato, contadino, operaio, sa che si tratta di vita o di morte. I wilsoniani del 1918 si profusero in menzognere promesse che potevano esercitare, ed esercitarono, una certa influenza su taluni ambienti tedeschi: oggi da Londra, da Mosca, da Washington, si minaccia la distruzione pure e semplice non solo della Germania come Stato, ma della Germania come popolo e come razza. Distruzione fisica, non morale.

“Israele vuole la sua integrale, spietata vendetta.

“Questi programmi nemici, ufficialmente dichiarati, irrigidiscono la già forte tempra del popolo tedesco e ogni pensiero di capitolazione è, quindi, escluso “a priori”.

“Se i bombardamenti terroristici tendono a demolire il morale del popolo tedesco, essi non raggiungeranno mai questo scopo. Testimoni oculari che hanno visto i berlinesi durante e dopo i bombardamenti massicci degli ultimi giorni sono unanimi nel dichiarare che l’atteggiamento della popolazione, la sua disciplina, il suo stoico coraggio, sono degni dell’universale ammirazione. Le facce dei berlinesi avevano all’indomani una sola espressione: quella dell’odio, della tenacia, unita alla certezza di una compensatrice nonché moltiplicata rappresaglia e alla fede cieca, comune del resto all’intero popolo tedesco, nel Fuhrer e nella finale vittoria.

“Crediamo di aver esposto – sia pure in maniera sintetica – i fondati motivi che giustificano la nostra asserzione che la Germania non può essere battuta.

“E poiché allo stato delle cose una pace negoziata è impossibile, non rimane che la prima ipotesi e cioè che la Germania, non potendo essere battuta, finirà col battere i suoi e nostri nemici.

“Non è quindi troppo azzardato prevedere che il consuntivo del 1944 sarà ben diverso da quello del 1943.

“In questo consuntivo dovrà figurare e figurerà, accanto alle voci Germania e Giappone, la voce Italia. Altrimenti il nostro eclissi da parziale diventerà totale, con incalcolabili conseguenze per le attuali e future generazioni”.


A cura di Franco Arbitrio.