23 luglio

La 7a armata del generale Patton arriva sulle coste settentrionali della Sicilia e conquista Palermo e il suo porto. Le truppe italiane e tedesche sono in ritirata e i siciliani salutano i “nemici” come liberatori.

“La costa settentrionale della Sicilia” scriverà il giornalista americano Ernie Pyle1 “offre uno strano contrasto con quella meridionale. Nel sud, c’è più sporcizia e gli abitanti sembrano appartenere a una razza inferiore. Salendo a nord, notammo invece un notevole cambiamento, tanto nella popolazione quanto nel paesaggio. La strada asfaltata che collega Palermo a Messina costeggia il mare ed è un incanto. I soldati esclamavano: deve essere stupendo fare questa passeggiata in tempo di pace, durante le vacanze”.

A Palermo i primi reparti della 7a armata sono arrivati ieri, e oggi la città è completamente in mano al generale Patton; ha fatto di testa sua, come spesso gli accade, e invece di puntare verso Trapani, secondo gli ordini ricevuti dal generale Alexander, ha tagliato corto e ha puntato a nord. Troppo bello arrivare per primo al capoluogo della regione; e poi – e anche questo gli accade spesso – il colpo di genio: riattivare rapidamente il porto e fare sbarcare una divisione, la 9a, che era stata tenuta di riserva. Fra una settimana si potrà dare il via all’avanzata verso Messina; lui Patton da ovest, Montgomery da sud, appena avrà superato quella maledetta montagna, l’Etna, che gli sbarra la strada dopo Catania.

Il generale Eisenhower si congratula col generale Patton (a destra). George Patton è un comandante molto discusso per i suoi modi autoritari ma di grande fascino sui soldati.

Il generale Eisenhower si congratula col generale Patton (a destra). George Patton è un comandante molto discusso per i suoi modi autoritari ma di grande fascino sui soldati.

Le truppe di Patton hanno attraversato tutta l’isola, da Gela, da Licata, da Agrigento a Caltanissetta e Alcamo. “Le strade dell’interno, quelle che passano tra le montagne “scriverà ancora il giornalista Pyle “sono poco numerose, generalmente non asfaltate e in cattivo stato. Per tutta la durata della campagna ci servimmo di muli per rifornire i combattenti sulle alture. Tre volte i nostri soldati restarono senz’acqua e senza cibo per sessanta ore consecutive. Ancora non capisco come fecero a resistere.

“Le scorte catturate al nemico venivano distribuite dai servizi logistici, ma ai nostri soldati piaceva rovistare nei depositi prima dell’intervento ufficiale. Apparecchiammo mense all’aria aperta, con le loro lunghe tavole pieghevoli, nuove di zecca, e gli ufficiali si sedettero su sgabelli individuali, di legno bianco, anche quelli di provenienza tedesca. Vidi alcuni ufficiali dormire su brandine metalliche protette da zanzariere, prese alle truppe germaniche.

“A proposito di zanzariere e di zanzare, il caldo e la mancanza d’igiene cominciarono a far sentire le loro conseguenze. La dissenteria era molto frequente, e un’alta percentuale di soldati soffriva di malaria. Non facevamo molta attenzione a quello che mangiavamo o bevevamo, ed era naturale. Uno degli spettacoli più commoventi era l’arrivo in paese di una colonna di soldati madidi di sudore, estenuati dal caldo e coperti di polvere. In un batter d’occhio, i paesani accorrevano a centinaia, con acqua fresca in boccali, brocche, brocchette, pentole, insomma in qualsiasi recipiente, e la versavano nelle borracce dei soldati. Certo l’acqua era pericolosa da bere, ma quando si ha sete non si va tanto per il sottile.

“Nell’insieme, gli Americani trovarono che la Sicilia era lievemente più progredita rispetto all’Africa Settentrionale. I suoi abitanti erano altrettanto ospitali, se non di più e, se l’isola fosse stata un po’ più comoda e più pulita, credo che molti di noi ci sarebbero stati volentieri. A pensarci bene, però, tutto questo era assurdo. Quelle persone erano state nostre nemiche, ci avevano dichiarato guerra, avevamo attraversato l’Atlantico per combatterle e vincerle, e ora ci consideravano come amici di lunga data.

“In ogni caso, è bene dire che i Siciliani reagirono da popolo liberato più di quanto non avessero fatto i Francesi dell’Africa Settentrionale. Si aspettavano che noi li aiutassimo a superare la fame. In molti paesi di montagna, le nostre truppe furono accolte da cartelli con la parola inglese WELCOME, e da bandiere americane esposte alle finestre. Ci furono anche atti di sabotaggio, come fili telefonici tagliati, ma, nella sua grande maggioranza, la popolazione si dimostrò favorevole agli Americani.

“In Sicilia è tutto cosi vecchio che si ha l’impressione di essere più vicini all’antichità in quest’isola che davanti alle rovine romane dell’Africa Settentrionale. Alcuni villaggi sono appollaiati in cima a picchi rocciosi, in una posizione difensiva scelta anticamente. Molti di quei paesi non potevano essere raggiunti in automobile. “Nelle borgate più arretrate, nelle città più vecchie apprendemmo che la maggioranza degli abitanti aveva parenti negli Stati Uniti, e dietro ogni cespuglio, a ogni angolo di strada, sbucava qualcuno che era vissuto dodici anni a Buffalo o trenta a Chicago”.

E i soldati? Cinque giorni fa l’inviato di guerra del Times di Londra ha scritto: “Gli eserciti dell’Asse in Sicilia crollano. Non si è verificata nessuna difesa delle truppe italiane, mentre era lecito supporre che avrebbero raddoppiato la loro volontà di resistenza quando si sarebbe trattato di difendere il suolo natio”. Evidentemente il giornalista inglese non ha capito niente del sentimento dei siciliani e non ha capito niente Mussolini nel far comporre per due terzi di soldati aventi casa in Sicilia le divisioni italiane. “Forse” continua però il giornalista, cominciando a capire, “le truppe italiane non vedono alcun scopo nel combattere per affidare il loro paese al dominio tedesco. Gli americani dicono di avere riscontrato una disposizione generale alla resa. Alcuni reparti starebbero ritirandosi disordinatamente, mentre altri aspettano pacificamente di essere catturati e mandati nei campi per prigionieri”.

Non mancano tuttavia episodi amari. Due giorni fa la rivista statunitense Life ha pubblicato una corrispondenza del suo inviato di guerra Jack Belden: “Attraverso la folla che ci dava il benvenuto, una colonna di soldati italiani che si erano arresi ed erano stati fatti prigionieri marciavano su un lato della strada con le braccia alzate sulla testa. Ne vidi uno che ci guardava rabbiosamente. Un altro soldato camminava con le lacrime che gli scorrevano lungo la faccia. Mai avevo visto uno spettacolo più pietoso. Questi soldati italiani, mentre passavano attraverso la folla dei loro connazionali che acclamavano i soldati di un altro paese, fino a poche ore prima “nemici”, devono essersi sentiti davvero umiliati. Eravamo a Giacalone, un paesino nei pressi di Monreale”.

Nel bollettino di guerra di stamani del Quartiere generale delle forze armate italiane non si parlava di Palermo; si diceva solo che “dopo aspri combattimenti sostenuti contro poderose formazioni corazzate, la difesa ha dovuto spostarsi su posizioni arretrate”. Di Palermo parlerà il bollettino di domani, il numero 1155: “L’aumentata pressione di forti masse corazzate nemiche ha reso necessario in Sicilia un nuovo schieramento delle truppe dell’Asse e il conseguente sgombero della città di Palermo”.


1 Dal libro Brave Men, ripubblicato da Tutta la seconda guerra mondiale, Selezione del Reader’s Digest, Milano, 1966.

23 luglio – Di più

Nell’aprile 2003 al Circolo ufficiali di Palermo il ricercatore Francesco Calvaruso ha tenuto una conferenza sulla “Campagna di Sicilia del 1943”. Tano Gullo, di Repubblica, ha raccolto alcune testimonianze, pubblicate sul suo giornale del 10 aprile.
Il testo completo della corrispondenza è disponibile sul sito di Repubblica.

“Fa un caldo atroce a Palermo quel 22 luglio del 1943. La città è stremata dopo tre anni di bombardamenti, l’afa è una tortura in più. I palermitani si accorgono solo alle 14, quando se le ritrovano davanti, di due colonne infinite di soldati americani, di camion e di jeep mai viste prima. Una scende da Monreale e un’altra dal mare, lato Messina. Confluiscono a piazza Massimo e da lì poi si diramano in tutta la città. La gente scende in strada ed è un tripudio. Scene immortalate da Robert Capa (in una si intravede il baratto festoso tra soldati e civili, i primi offrono cioccolato e sigarette, i secondi vino e pacche sulle spalle) e consegnate da tempo alla storia.

“La notizia che gli americani erano arrivati fece il giro della città in un baleno” racconta Giuseppe Passarello, ex preside appassionato di storia cittadina. “Come tanti scesi per strada. Ero un ventenne studente universitario e per la verità gli americani, accolti dal popolo festosamente, non mi ‘calavano’. Ai miei occhi erano pur sempre invasori. Vedevo gli applausi e le mani tese dei palermitani e provavo un certo fastidio. L’unica gioia era la speranza che finalmente finissero i bombardamenti”.

Franco Grasso, oggi novantenne, era un militante del Fronte nazionale di liberazione che trascorreva quegli anni tra il confino e l’attività clandestina. “Il 22 luglio” ricorda “mi trovavo a Lercara Friddi. In sella a un cavallo giravo tutti i paesi della zona per sensibilizzare la gente a non intralciare l’avanzata alleata. Mentre procedevo con prudenza tra le bombe abbandonate dai tedeschi, il cavallo all’improvviso si è imbizzarrito. Il tempo di chiedermi cosa stesse succedendo e scrutai in lontananza i carri armati che avanzavano. Feci cenni di pace e per fortuna non spararono. Ma per qualche attimo mi ero sentito morto”.

Anche Pina Maisano, vedova di Libero Grassi, i marines li vide lontano da Palermo. “Precisamente a Castelbuono” racconta “dove ci trovavamo sfollati. Entrarono in paese ai primi di agosto dopo avere distrutto una postazione tedesca sul pizzo di Pollina. Da mesi vedevamo i tedeschi che si cannoneggiavano con gli alleati apposti sul cucuzzolo opposto di Santo Mauro. Mio padre era un ex ufficiale dell’esercito passato alla forestale dopo il trauma della prima guerra mondiale. Fu imprigionato per una settimana. Quando capirono che con il regime non c’entrava lo liberarono. Cosi a settembre potemmo tornare a Palermo: solo macerie e null’altro. Niente di niente. Uno strazio”.

Il fotografo Nicola Scafidi, invece, girò in lungo e in largo la città, scattando freneticamente con la sua reflex i primi reportage della sua trionfale carriera di testimone dei tempi. “Tre anni di bombe e poi finalmente la festa – dice – La cosa che più mi è rimasta impressa è la gioia della gente”.

Altri big palermitani ricordano le terrificanti incursioni aeree di quegli anni. “Dormivamo vestiti per scappare verso i ripari al primo allarme – dice lo scrittore Michele Perriera – Una notte la tragedia. Il rifugio venne colpito e ci salvammo solo i pochi che eravamo nella parte più interna. Fuggimmo terrorizzati scansando i cadaveri. Fu uno choc che mi porto ancora dentro scoprire il mio amico del cuore Emanuele morto per terra”.

“Ho visto crollare con i miei occhi mezza città pedalando sulla bici mentre c’erano le incursioni, con l’incoscienza dei 15 anni – continua il pittore Bruno Caruso – Dopo la carneficina del 9 maggio 1943 fatta con 484 fortezze volanti i miei decisero di fuggire da Palermo. Ma dove c’eravamo noi arrivavano i bombardamenti: a Roma come a Milano. Sembrava che li attirassimo”.

Il poeta pittore Crescenzio Cane le bombe se le è sentite addosso. “Ero andato a ‘Olio di lino’ a spiare la contraerea tedesca che illuminava il cielo a giorno – ricorda – quando all’improvviso le schegge di un aereo Usa abbattuto ci sono piovute addosso. Finito l’inferno mi sono accorto che l’uomo acquattato accanto a me era morto. Mio padre in quel periodo ci sfamava rischiando la vita, lavorando alla rimozione delle macerie anche sotto i raid alleati”.

 

– Che cosa accade in una grande città come Palermo quando i “nostri” e l'”alleato” fuggono e arriva il “nemico”? Maurizio Tumminello ci invia da Palermo le pagine di un diario scritto da suo padre, Luigi, vent’anni nel 1943; perito elettrotecnico, abitava a Cardillo, un sobborgo di Palermo, sulla strada per l’autostrada e Punta Raisi. Eccone alcuni brani, del 23 luglio.

“Il rombo di pesanti macchine frammisto al grido di “gli americani! gli americani!” mi sveglia di soprassalto. In un batter d’occhio mi vesto alla meglio e mi affaccio fuori nello stesso tempo in cui passa il primo carro armato americano. La gente li accoglie, parte indifferentemente come me, mia madre e mia sorella, parte con acclamazioni e sciorinamento di lenzuola bianche in atto di resa. Sono entrati così i primi nemici. La gente che vedeva l’entrata del nemico come Manzoni vedeva quella dei Lanzichenecchi, quasi quasi è rimasta disillusa. Quelli che s’aspettavano i cassetti pieni di dolci e di ‘cioccolatta’ sono rimasti con la mente piena e la bocca vuota e già per poco non cominciano a parlarne male.

“È continuato l’assalto dei magazzini. Questa mattina è stato aperto il deposito di foraggi dell’esercito sito in S. Lorenzo di fronte all’ospedale. Più di trecento carri trasportano continuamente sacchi di crusca. Non mancano quelli che se li portano con camioncini, automobili, biciclette. Non sembra punto che siamo in questo triste momento. Anzi sembra che non ci sia neanche guerra. Regna una grande anarchia. Tutte le macchine che possono camminare sono per le strade, sicure che nessuno si preoccupa di esse, e perciò si vede questo movimento insolito che da ben tre anni non si vede.

“Oggi con particolare attenzione abbiamo ascoltato il bollettino delle Forze Armate Italiane che ha detto che le nostre truppe del settore occidentale si sono ritirate dopo aspri combattimenti in zone arretrate. Ora io mi chiedo: in quale zona si sono ritirate le nostre truppe se sono state sciolte e vanno vagando per le strade? Dove sono avvenuti gli aspri combattimenti se le truppe nemiche sono entrate senza sparare un colpo e accolte dal battimano dei nostri soldati?

“Gli americani sino ad ora si sono comportati come semplici passanti. Anche da parte nostra è finita tutta la premura di andarli a guardare, dato che ormai passano continuamente in tutti e due i sensi. Si tratta sempre di singole automobili o camion. Alla Crocetta un’automobile con a bordo alcuni americani ha fermato un uomo di Cardillo con cui si è svolto il seguente dialogo in perfetto palermitano: ‘È questa la strada che va a S. Lorenzo?’. ‘Si’. ‘È minata?’. ‘No; se non ci credete salgo con voi e vi accompagno’. Dopo di che i due si sono salutati e se ne sono andati

“In serata sono passate altre truppe motocorazzate. Molti rivolgono parole in siciliano agli astanti. Uno grida al gruppo ove mi trovo io: ‘Chi si rici?’. Vediamo che abbiamo da fare con nostri stessi consanguinei che sono partiti da quelle lontane terre per venire a portare la guerra in quella che fu la patria dei loro padri, ove vivono parenti loro, anche vicinissimi. E già due di questi casi si sono avverati. Nella contrada Patti un uomo si è incontrato con un suo nipote, figlio di suo fratello. A Tommaso Natale un americano e un palermitano si sono incontrati scambiandosi uno sguardo interrogativo, subito seguito da abbraccio e baci: erano due fratelli che dopo sette anni si rivedevano”.

Così il giorno dopo: “L’animazione dei giorni precedenti dovuta al saccheggio dei magazzini è ora cessata per lasciare il posto a quella più seria, cioè il ritorno in città. Tutta quella povera gente che forzatamente, a causa dei bombardamenti aerei, aveva dovuto lasciare la propria casetta in città, che quanto umile sia è sempre il perno del focolare domestico, ora ritorna ad essa, contenta di porre fine alla brutta vita che ha dovuto vivere, ma, nello stesso tempo col timore se si riprendono i bombardamenti da parte degli italiani o dei tedeschi. Dappertutto è un viavai di carri carichi di mobilia che si avviano verso Palermo, seguiti dai proprietari costretti a camminare a piedi o sugli stessi carri per mancanza di autobus.

“Questa mattina il timore che avevamo nei nostri cuori è svanito; il nostro Pasqualino Vassallo è tornato a casa sano e salvo, venendo a piedi da Selinunte, ove lui prestava servizio militare in una batteria costiera, che all’ultimo momento, cioè quando hanno visto l’inutilità di ogni resistenza, hanno distrutto e abbandonata. È venuto vestito in borghese, cioè con un paio di pantaloni completamente in brandelli, con una camicia più o meno stracciata e un asciugamano al collo. Per venire da Selinunte ha impiegato quattro giorni di cammino; per mangiare si è affidato alla carità cristiana, che non gli è venuta negata, tanto che ha portato financo pane a casa. Continua con sempre crescente ritmo il traffico automobilistico americano per la nostra strada; il continuo rumore e lo stridore dei cingoli dei carri armati è diventato snervante, ossessionante.

“Nella villa del conte Amari e precisamente nella tenuta chiamata Bonocore gli americani hanno fatto un cimitero di guerra per il seppellimento dei loro Caduti. Questa mattina la messa in Villa Amari è stata celebrata da un prete americano e sono intervenuti anche soldati americani.

“Il Governo Militare Anglo-Nordamericano ha ordinato che tutti i militari che non siano forniti di congedo illimitato o di esonero si presentino entro questa sera alle 20 dai carabinieri per costituirsi prigionieri di guerra. È stato un profondo dolore l’assistere al saluto dei familiari da parte dei militari che, poveretti, credevano di essere rimasti liberi con le loro famiglie, mentre ora debbono subire pure i disagi della prigionia. Nel pomeriggio molti autocarri carichi di prigionieri cominciano a sfilare da e per Palermo; è un piacere e nello stesso tempo una pena quando su d’essi si vede un conoscente, un amico. Ma più pietà hanno fatto, verso mezzogiorno, molti di questi prigionieri che a piedi, formando una lunga colonna scortata da soldati sulle camionette o in moto con i fucili e le mitragliatrici in mano”.

Domani Tumminello riporterà nel suo diario un “Messaggio al popolo” del Generale Eisenhower, pubblicato dal “Giornale di Sicilia”: “Nella mia qualità di comandante in capo delle forze alleate vi trasmetto questo messaggio a nome dei governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. Le forze Alleate stanno occupando terra italiana. Agiscono non da nemici del popolo italiano, ma in conseguenza ineluttabile della loro guerra che ha lo scopo di distruggere la forza dominatrice della Germania nell’Europa. La loro meta è di liberare il popolo d’Italia dal regime fascista che lo ha trascinato in guerra e, ciò compiuto, di restaurare l’Italia come nazione libera. Le Forze Alleate non hanno l’intenzione di cambiare o di menomare le leggi e le usanze tradizionali del popolo italiano. Verranno prese, nondimeno, tutte le misure necessarie per eliminare il sistema fascista in qualsiasi territorio italiano occupato dalle loro forze. Quindi verrà sciolta la organizzazione del Partito Nazionale Fascista; le appendici del partito quali la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, e le cosiddette organizzazioni della gioventù verranno abolite. La dottrina e la propaganda fascista in qualsiasi forma verranno proibite. Nessuna attività politica di qualsiasi genere verrà tollerata durante il periodo di Governo Militare. Conformemente alla politica dei Governi Alleati verranno prese immediatamente le misure necessarie per porre fine all’effetto di tutte le leggi le quali fanno distinzione in base a razza, colore o fede. La libertà di culto verrà mantenuta; e purché gli interessi militari non vengano pregiudicati, verrà istituita la libertà della parola e della stampa. Verranno prese misure per l’immediata liberazione di prigionieri politici. Il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato verrà abolito. Il Governatore Militare del Territorio Occupato prenderà le disposizioni per mettere in vigore, mediante proclama, o altrimenti, le misure di cui sopra, non appena le esigenze militari lo permetteranno. Ciò porterà testimonio ai principi, ai quali gli Alleati aderiscono, e per il ristabilimento dei quali essi combattono spietatamente. Tali sono i principi ai quali i capi dell’Asse sotto il dominio della Germania si oppongono. Voi sarete i beneficiari della loro sconfitta. Come figli di padri che hanno combattuto per la loro libertà, sta nel vostro interesse di non resistere alle Armi Alleate; anzi, di facilitare la missione degli Alleati, con una pronta e totale vittoria Alleata, di liberare l’Europa dal giogo nazista”.

“Oltre a questo messaggio – scrive ancora Tumminello – figurano nel giornale altri tre proclami emessi da Harold R. L. G. Alexander, Generale Comandante delle forze Alleate e Governatore Militare del territorio occupato. Nel primo proclama egli informa di assumere ogni potere giuridico e governativo nonché la suprema responsabilità amministrativa e di assumere la direzione del Governo Militare Alleato. Inoltre dice che i poteri del Regno d’Italia sono sospesi. Che i diritti vigenti di proprietà e di persona saranno rispettati in pieno, come pure le leggi, finché lui vorrà. Il partito nazionale fascista sarà disciolto con tutte le sue leggi. Tutti gli impiegati del governo e del municipio restano sotto il suo comando.

“Questo primo proclama finisce assicurandoci che se siamo buoni non avremo botte: come un buon padre rigoroso. Il secondo proclama invece fa venire i brividi: qui si discorre di pena di morte, di reclusione, di multe. È, in breve, la legge marziale del Governo Militare Alleato. Il proclama numero tre è prettamente finanziario; tratta del cambio della valuta, ordina la libera circolazione della valuta inglese e americana, indicandone il relativo cambio. Un dollaro americano vale 100 lire italiane e una sterlina, ossia 20 scellini, vale 4 dollari cioè 400 lire italiane.

“Il giornale porta 11 avvisi del Comando delle Forze Armate Alleate di Palermo, che si riassumono in:
1. consegna delle armi da fuoco e munizioni;
2. coprifuoco (dalle 20 alle 6, pena morte);
3. divieto di lasciare la riva;
4. razionamento e calmiere (mercato nero = morte);
5. autoveicoli (divieto di circolazione e denuncia);
6. militari in borghese (consegna ai carabinieri di tutti coloro sprovvisti di congedo);
7. nettezza urbana;
8. orario dell’oscuramento (pena morte);
9. bevande alcoliche (divieto smercio) (morte):
10. bracciale Croce Rossa;
11. Ammasso dei prodotti agricoli (consegna ai Consorzi).
Per fare osservare queste leggi sono autorizzati i carabinieri che, come la Croce Rossa e la Guardia di Finanza, non sono stati disciolti.

“Queste leggi proclamate hanno stroncato le gambe a molti malfattori che credevano di potere fare i fatti loro. Tutti i contadini che credevano di essere padroni dei loro prodotti, specialmente del grano, vedendosi ora obbligati, sotto la minaccia della morte, di consegnare tutto agli ammassi, già si sono pentiti della premura che avevano di fare entrare il nemico. Così pure tutti coloro che trafficavano col mercato nero, dai bottegai che debbono rendere manifesto a mezzo di cartello appeso alla vista di tutti il listino dei prezzi, al contrabbandiere che non può allontanarsi più di 10 chilometri dalla sua abitazione.

“Come era da prevedersi, il coprifuoco, a Cardillo non è stato osservato neanche minimamente; per Cardillo guerra e leggi sembra non esistessero. Oggi alle 20 è scaduto il termine stabilito per la consegna delle armi e delle munizioni; quasi tutti a Cardillo si sono tolti con rammarico i loro fucili da caccia”.