15 ottobre

Tutte le vecchie dirigenze  pubbliche e di regime lasciano Roma e si trasferiscono al Nord; anche la Stefani, il cui direttore Roberto Suster viene esonerato dal ministro della cultura popolare della Rsi  Fernando Mezzasoma.

 

Roma si sta vuotando. Parte degli alti dirigenti pubblici e molti esponenti del regime fascista si trasferiscono al Nord. Anche l’agenzia Stefani. Ma che cosa  è successo dell’agenzia che era l’organo ufficiale del regime fascista, che cosa è successo del suo direttore, Roberto Suster, che il governo Badoglio ha lasciato al suo posto nonostante il suo passato di fedeltà a quel regime?

Il 12 settembre l’agenzia ha pubblicato il comunicato col quale l’agenzia tedesca Dnb ha dato notizia della liberazione di Mussolini e la mattina del 13 Roberto Suster e i rappresentanti dei quotidiani romani (i direttori nominati in agosto sono tutti fuggiti)  sono stati convocati all’ambasciata di Germania, dove  il generale Stahel, comandante delle truppe tedesche, ha impartito le nuove direttive: la stampa è sotto controllo e dell’attualità militare e politica dovrà pubblicare solo le notizie di provenienza germanica. Un particolare riguardo per la Stefani: ogni notizia sarà sottoposta a censura preventiva.

La Stefani continua così il suo lavoro al servizio dei nuovi padroni, che poi tanto nuovi non sono. Il 13 settembre ha diramato il testo, datole dal “Comando superiore tedesco del Sud”,  del lunghissimo discorso che Hitler ha rivolto al popolo tedesco tra giorni prima: elogi a Mussolini e anatemi contro i “traditori”, specialmente Badoglio, che fino all’ultimo momento, anche dopo la firma dell’armistizio, ha continuato – dice il Fuhrer – ad assicurare i tedeschi che non avrebbe mai tradito la Germania.

Il 15 la Stefani riceve da Berlino e trasmette un comunicato del Dnb con i cinque ordini del giorno di Mussolini ai “fedeli camerati di tutta Italia”: la riassunzione della “suprema direzione” del fascismo, la nomina di Alessandro Pavolini a segretario del nuovo Partito fascista repubblicano, l’ordine a tutte le autorità di riprendere il loro posto,  l’invito ad appoggiare l’esercito tedesco “efficacemente e cameratescamente”, la ricostituzione della Milizia volontaria per la sicurezza dello stato.

La costituzione della Repubblica Sociale è annunziata dalla Stefani il 18 (anche questa è una notizia proveniente dal Dnb) ed è il 24 che il ministro della cultura popolare, che è Fernando Mezzaso­ma ed opera dal Nord, invia una lettera al Consiglio di amministrazione della Stefani: «In data odierna ho disposto che la direzione politica di codesta agenzia sia affidata al giornalista dott. Orazio Marcheselli in sostituzione del giornalista dott. Roberto Suster». Marcheselli è stato vicedirettore dell’agenzia e  nel 1941 si è dimesso per contrasti politici con Morgagni,

Il giorno dopo, Roberto Suster risponde alla «Spett. Società anonima Agenzia Stefani» per prendere atto della decisione e manifestare il suo di­sappunto («Nei 14 anni dacché appartengo alla Stefani e nei 34 mesi in cui la diressi regolai sempre con assoluta lealtà e senza interruzione alcuna sia la mia attività sia i suoi servizi secondo il solito concetto e con l’unica preoccupazione di tutelare, valorizzare, precorrere gli interessi della Na­zione») e nello stesso giorno scrive anche una lunghissima lettera al mini­stro Fernando Mezzasoma (lo chiama «Eccellenza», ma gli dà del «tu»).

E un testo importante per il concetto che Roberto Suster esprime sulle funzioni del direttore della Stefani: «Il direttore dell’agenzia ufficiosa di informazioni» scrive al ministro «ha, sia pur su di un altro piano e per un diverso settore, le stesse funzioni pubbliche e l’identica fi­gura giuridica del direttore della Zecca dello stato. Soltanto che quello stampa e divulga carta moneta garantita dalla Banca d’Italia, mentre questi dirama e diffonde notizie, avallate dal marchio dell’autenticità scrupolosa e controllata che è implicito nel prestigio e nelle funzioni dell’organismo».

Ovviamente non è piaciuto a Mezzasoma (e dalla lettera si capisce che glielo ha detto a voce) che Suster sia rimasto alla direzione dell’agenzia dopo il 25 luglio e abbia trasmesso le notizie dategli dal «governo dei tra­ditori». Perciò Suster insiste: la Stefani è «una specie di grande e preciso obiettivo fotografico, il quale registra con immediatezza in lettere quanto avviene nel quadro della vita nazionale e internazionale, mettendone più o meno a fuoco certi aspetti e particolari. Non è una invenzione o una innovazione mia, né tanto meno dipende dall’arbitrio del direttore o di chicchessia il discutere i soggetti delle riprese, dato che esse non vengono né colte negli studi dopo più o meno accurati montaggi, né si svolgono su trame e copioni prescelti dalla Stefani stessa».

Un’agenzia di informazioni, dunque, è come la Zecca o, peggio, come un laboratorio fotografico o cinematografico. E un’analogia di cui non si sa se è più grave l’ignoranza culturale e professionale o l’impudenza op­pure l’una e l’altra. Molto più giusta e onesta, da un certo punto di vista, è la definizione che di un’agenzia statale di informazioni in uno stato autoritario lo stesso Suster aveva dato in una lettera inviata il 15 ottobre 1938 al presidente Morga­gni: «Una grande agenzia di informazioni come la Stefani, che non abbia ormai più soltanto un carattere commerciale e speculativo, ma che nell’atmosfera nazionale si inquadri e si identifichi con la vita e l’attività di un preciso periodo storico della collettività; che non si limiti a diramare fonograficamente comunicati e a ‘rifischiare’ le notizie che af­fluiscono, ma che ad ognuna di esse voglia infondere uno spirito proprio, distinguendole secondo uno specifico criterio; che infine non rappresenti soltanto un apparecchio automatico per la distribuzione del materiale, ma sia meglio e più di una fucina nella quale ogni avvenimento viene uti­lizzato come un astratto combustibile, atto a imprimere alla ruota delle cronache quella direzione e quella velocità che conviene al nostro paese». Un’agenzia cosiffatta, sostiene Suster, ha bisogno di una organizzazione particolare, in cui debbano apparire «elementi inscindibili l’esattezza, l’immediatezza, la competenza e la coscienza fascista».

Evidentemente le argomentazioni nuove di Suster, così in contrasto con quelle di un tempo, non convincono Mezzasoma e chi sta sopra di lui. Il 28 ottobre Mussolini ordinerà l’arresto di Suster e il 18 novembre due agenti di polizia arrestano Suster nella sua abitazione e lo rinchiudono, come scriverà lui stesso, «nel Pio Istituto di San Gregorio, un convento del 1500 trasformato in prigione politica», chiama­ta anche «centrale degli ostaggi». Vi rimarrà 72 giorni, «altrettanto ingiu­sti quanto assurdi», ma, come racconta, in buona compagnia.

In realtà l’ex convento di San Gregorio è una prigione-albergo, dove i pasti sono serviti da cameriere con la crestina, i prigionieri possono rice­vere liberamente tutte le persone che desiderano e la sera giocano a poker nella elegante sala di soggiorno. Ci sono Virginia Bourbon del Monte dei principi di san Faustino, madre di Gianni Agnelli, la principessa Colonna di Cesarò, il senatore Alberto Bergamini, donna Cora Caetani, la contessa Ippolita Solaro del Borgo, l’ex direttore del “Messaggero” Tom­maso Smith; ci sono anche lo scrittore Ercole Patti e l’ex direttore di “Ro­ma fascista” Ugo Indrio.

 

 

15 ottobre – Di più

 

– Il 28 gennaio Suster riuscì a evadere insieme al senatore Bergamini (un’evasione – scrive – che gli costò 200 mila lire), evitando così (è sempre lui che lo dice) di essere trasferito al nord e forse deportato in Germania. Sulla sua testa – aggiunge – era stata messa una taglia di 500 mila lire, per cui rimase nascosto; non dice dove, ma di lì continuò a scrivere lettere, da­tate «da una località dell’Italia». Una, il 12 febbraio 1944, era indirizzata al «mio caro barone Hahn» (già ambasciatore di Germania a Roma), una, il 18 febbraio, al «carissimo Mazzolini» (il conte Serafino Mazzolini, sottose­gretario agli esteri nel governo di Salò), un’altra, il 25 aprile, al «carissimo Anfuso» (ambasciatore della repubblica sociale a Berlino); e tutte per ri­vendicare la sua fedeltà al fascismo e la sua devozione a Mussolini.

Dalla clandestinità uscì a giugno del 1944, dopo la liberazione di Roma, e il 27 luglio fece domanda in prefettura per ottenere l’autorizzazione a fon­dare e dirigere un’agenzia («apolitica», naturalmente) di notizie economiche e finanziarie, intitolata Mercurio. Nella lettera Suster elenca le sue esperien­ze professionali, compresa la direzione della Stefani, da cui fu allontanato – scrive – «per il suo rifiuto di collaborare con il neofascismo». Roberto Suster è morto a Roma alla fine di dicembre del 1966.

– Anche la Stefani dovette lasciare Roma e recarsi al nord, ma nessuno sapeva bene dove la sede dell’agenzia si sarebbe sistemata. L’8 ottobre a Venezia il direttore Marcheselli e il direttore amministrativo Vallicelli trovarono una precaria si­stemazione, in qualche stanza del rinascimen­tale palazzo dei Camerlenghi, ai piedi del ponte di Rialto, dove ora è la Corte dei Conti. All’ingresso venne posta una targa: «Agenzia Stefani -Direzione generale». Marcheselli e Vallicelli si erano infatti nominati «di­rettore generale», politico il primo, amministrativo il secondo .

Qualche giorno dopo, la targa fu tolta. Da Venezia i due direttori partirono per Salò (togliendo il «generale» dalla loro qualifica di direttore). Il 14 ottobre a Maderno, sul lago di Garda, tra Gardone e Gargnano (nella villa Feltrinelli di Gargnano era sistemato Mussolini con la moglie Rachele), una riunione interministeriale aveva infatti deciso, «in accordo con le autorità germaniche», che, insieme ad alcune direzioni ge­nerali del ministero della cultura popolare (stampa italiana ed estera e ispettorato radio), anche la Stefani avesse sede a Salò: gli uffici nella colo­nia della Croce Rossa «Principe di Piemonte» (previa cancellazione del­l’insegna) e gli alloggi dei dipendenti nell’albergo Roma, che il 28 dello stesso mese il Comando tedesco si era impegnato a lasciare.

Alla fine di ottobre si trasferirono tutti – redattori e famiglie – a Salò, ma non nelle sedi che erano state promesse, cioè la colonia ex principe di Piemonte e l’albergo Roma. L’agenzia si sistemò nella sede della scuola elementare  di via Brunati e i dipendenti in case private; i pasti all’albergo Benaco. Il vitto e l’alloggio erano pagati del ministero della cultura popolare, ma gli stipendi non arrivarono che alla fine di febbraio.

Sull’agenzia Stefani è uscito in due edizioni (la seconda nel 2001) presso l’editrice Le Monnier un libro di Sergio Lepri, Francesco Arbitrio e Giuseppe Cultrera: “L’agenzia Stefani da Cavour a Mussolini. Informazione e potere in un secolo di storia italiana”.