14 febbraio

Un bombardamento “a tappeto” distrugge gran parte di Milano. Tante macerie e una “tempesta di fuoco”. La gente comincia a imprecare contro il fascismo e contro Mussolini e molti auspicano il bombardamento di Roma per far finire presto la guerra.

Le sirene hanno suonato alle 22.15. Una gelida notte di plenilunio. Un quarto d’ora dopo, 122 quadrimotori inglesi hanno sganciato su Milano 112 tonnellate di bombe dirompenti e 166 tonnellate di ordigni incendiari; e anche 45 blockbuster da quattromila libbre, pieni ognuno di 1820 chili di tritolo. Gli inglesi li chiamano”cookies” cioè “dolcini”; bastano per spazzare via un intero blocco di edifici.

Il bombardamento dura 32 minuti. Dopo quello del 28 ottobre scorso è il bombardamento più grave su Milano1. Un bombardamento “a tappeto”, come vengono chiamati. Le bombe incendiarie hanno colpito soprattutto i quartieri industrial, l’area verso Sesto San Giovanni, gli scali ferroviari. Nella stazione centrale sono andati in fiamme decine di convogli. I blockbuster sono caduti nella zona di Città Studi e sui quartieri residenziali attorno al Parco e hanno scavato crateri profondi. Danni gravi all’’Alfa Romeo, alla Caproni, all’Isotta Fraschini. Inoltre 35 aree civili danneggiate in corso Roma, presso il Duomo, all’Arena, in via Mario Pagano, piazzale Loreto. Più di 203 gli edifici distrutti e 220 quelli gravemente danneggiate, 376 con danni importanti e più di 3000 quelle con danni lievi. Gravi danni al “Corriere della Sera in via Solferino.
Danneggiate le chiese di: S.Maria del Carmine, S.Lorenzo, S.Giorgio. Inoltre il palazzo Reale, la Pinacoteca Ambrosiana, la Permanente, la Galleria d’arte moderna, il Conservatorio.
Per domare gli incendi sono dovuti intervenire in nottata anche i vigili del fuoco di Bologna, oltre a quelli di tutte le province vicine.
Per fortuna i morti non sono molti in relazione alla gravità dell’incursione; meno di trecento; i rifugi si sono dimostrati resistenti ai crolli. Ma i senzatetto, cioè i milanesi che non possono tornare ad abitare nelle loro case in rovina o insicure sono più di diecimila. Domani comincerà il fenomeno sempre più ampio dello sfollamento. Tanti lasceranno la città, rifugiandosi nei paesi vicini. Molti che lavorano fuggiranno ogni sera. E poi le scuole verranno chiuse per la paura di altri bombardamenti, ma anche per mancanza di combustibile. La gente è sfiduciata e impaurita; impreca contro il regime e contro Mussolini; molti, a gran voce, auspicano che gli aerei nemici vadano a bombardare Roma per far finire presto la guerra.
Un lettore di questo libro, Guido Bergomi, ci ha mandato una testimonianza di quei bombardamenti milanesi. Eccola.

“Nelle prime ore della notte in cui il sonno e più profondo il mio sonno di adolescente tredicenne viene interrotto bruscamente dalle cannonate prima ancora che dal lugubre ululare delle sirene. E’ l’ormai quasi usuale ‘wham,wham,wha-wham’ dell’artiglieria contraerea che inizia il fuoco di sbarramento in attesa degli aerei incursori. E’ il suono degli ‘88’ tedeschi e dei simili cannoni italiani che tentano di opporsi, pressoché invano, ai ‘Lancasters e Wellingtons’.

“Ci vestiamo in fretta e ci dirigiamo in cantina, adattata a rifugio antiaereo. Tre piani di scale a piedi, l’ascensore non esiste e comunque non sarebbe prudente usarlo. Uniti agli inquilini delle altre due scale che compongo¬no il caseggiato, ordinatamente scendiamo un’ulteriore rampa di scale per immetterci nel rifugio. Questo é composto da cinque o sei vani spogli e col pavimento di terra battuta, corre¬dati con rozze panche sulle quali ci sistemiamo alla meglio. In tutto saremo una cinquantina di persone circa. Quasi nessu¬no parla, e se mai lo fa sottovoce; qualcuno tenta di sonnecchiare ma non é molto facile, data la scomodità delle panche. La fio¬ca illuminazione proviene da qualche candela sistemata qua e là.
“Dopo un pò arrivano le bombe. Questa volta tocca a noi, si pensa. Già, perché altre volte i bombardieri sorvolano solamente per diri¬gersi verso altri obbiettivi. Le bombe le sentiamo cadere spesso anche molto vicine. Il baccano che si unisce a quello della contraerea è notevole e la terra trema continuamente sotto le esplosioni. La gente è abituata e regna una specie di rassegnazione, direi quasi una paziente attesa del peggio. Solo ogni tanto qualche piccolo diver¬bio o qualche sfogo di pianto isterico che viene subito sedato dall’intervento delle persone più salde tra i maschi anziani ed autorevoli. Maschi giovani non ce ne sono; sono tutti al fronte. Quelli rimasti hanno 18 anni o meno o 50 e più, e poi donne di tutte le età.
“Passa del tempo. Quanto? Chi lo sa? Porse un’ora, ma probabilmente molto meno e il bombardamento cessa, o perlomeno così sembra. Le esplosioni non si odono più e la contraerea dirada i colpi finché tace del tutto.
“Poi un giorno, quel 14 febbraio. Usciamo dal rifugio e ci coglie un chiarore insolito. Sono gli incendi che divampano numerosi. Anche la nostra casa é stata colpita da uno spezzone e il tetto incomincia a bruciare. Dicono che bisogna abbandonarla, ordine del Capo caseggiato: tutti fuori in attesa che il principio d’incendio, se possibile, venga domato.
“Fuggiamo in cerca di riparo lungo via Maroncelli, cosparsa da vari focolai d’incendio. Si comincia ad avvertire dappertutto un calore notevole. Fatti un centinaio di metri o poco più ecco che la contraerea ricomincia a sparare: è in arrivo la seconda ondata! Veniamo guidati da non so chi verso un’altro rifugio che, ci dico¬no, è più capiente e sicuro. La folla però è numerosa, proveniente da altre case come noi e quindi ci troviamo stretti e scomodis¬simi, ma è giocoforza restare finché dura la seconda ondata.
“Dopo un tempo che sembra interminabile ritorna una apparente calma. Usciamo di nuovo e ci accoglie uno spettacolo terrificante. E’ chiaro come se fosse giorno e spira un vento impetuoso e dappertutto volano e piovono lapilli incandescenti. La città è tutta pra¬ticamente un immenso braciere, il crepitio delle fiamme è tale che bisogna urlare per farsi capire. Non parliamo della temperatura, che è a livelli al limite della sopportazione.
“Corriamo, ma dove? In cerca di uno spazio un pò più aperto che ci permetta di respirare. Scavalcando macerie e detriti e cercando di evitare continuamente una autentica pioggia di braci incandescenti, sbuchiamo verso Sorta Volta. Lì la situazione non è molto migliore, anzi forse lo spazio aperto dà l’impressione di essere ancora più esposti al cataclisma. E poi c’è il pericolo di una nuova ondata di bombardieri, per cui si decide di tornare alla nostra casa. Sempre in gruppo di una ventina di persone del nostro fabbricato, che non si sono mai separate, ci avviamo per ritornare, mentre una moltitudine di gente fugge in tutte le direzioni, senza meta.
Via Maroncelli è impraticabile, perché troppo stretta, perciò ci dirigiamo verso via Pasubio e la percorriamo a ritroso. Con i fazzoletti premuti sulla faccia corriamo in fila india¬na al centro delle strada. A un certo momento dobbiamo per forza attraversare un punto in cui due case bruciano esattamente una di fronte all’altra e, sebbene la strada sia molto larga, riusciamo a stento e ad arrivare, senza soffocare, fuori dal punto più infuocato. Mi ricordo che un lapillo incandescente, grosso come una noce, nel suo turbinare si fermò proprio sulla spalla destra di mia madre che mi stava un passo avanti. Glielo tolsi; lei non se ne era accorta.
“Ma che cos’era tutta questa iradiddio? Parecchio tempo dopo la fine della guerra venni a sapere la spiegazione del fenomeno. I numerosissimi incendi provocati dal lancio di centinaia di migliaia di bombe e spezzoni incendiari producevano un calore tale da generare una potente corrente d’aria ascendente sopra il centro di detti incendi. Questa ascendenza a sua volta richiamava tutta l’aria circostante che a velocità sempre maggiore confluiva nel vortice, alimentando sempre di più gli incendi. Alla fine tutto diventava un vero e proprio tornado con venti impetuosi che trasformavano la città in una specie di immensa fiamma.
“Nella tarda mattinata del giorno dopo gli incendi erano tutti spenti, ma non per opera dei pompieri, che erano impotenti di fronte a tale cataclisma, per perché non c’era più niente da bruciare. Il vento era cessato e l’aria era diventata calma; calma, ma pregna di una immensa nube carica di cenere, che piano piano scendeva e si depositava dappertutto come una nevicata grigia, una specie di velario steso sulla città semidistrutta e sugli abitanti rimasti vivi, sgomenti e silenziosi”.


1Sul sito www.storiadimilano.it/Repertori/bombardamenti.htm c’è un’ampia descrizione dei bombardamenti aerei di Milano dal 1940 al 1945. Ecco la sintesi finale: “I sessanta attacchi aerei sulla città di Milano causarono tra i 1200 e i 2000 morti. Approssimativamente, la città perse un terzo delle proprie costruzioni, distrutte direttamente dalle incursioni, dagli incendi da queste causati o per le demolizioni successive resesi necessarie o giudicate più economiche dei restauri. Dall’immensa mole di macerie sgomberate dal suolo cittadino sorse la Montagnetta di San Siro al QT8 (il quartiere modello degli anni Trenta). Ancora oggi tuttavia sopravvivono ruderi cittadini che ricordano i terribili attacchi (ad esempio, il palazzo a brandelli all’incrocio delle cinque vie, proprio all’imbocco di via Santa Marta). Degli 80.000 alberi cittadini presenti nel 1942, al termine della guerra se ne censirono solo 30.000.

Bombardamento a tappeto di Milano

Bombardamento a tappeto di Milano