12 maggio

La Santa Sede è preoccupata per la grave situazione dell’Italia e papa Pio XII decide, dopo molte incertezze, di offrire una propria mediazione. Ma Benito Mussolini la respinge; gli italiani continueranno a combattere.

“Il Duce ringrazia il Papa degli intendimenti dimostrati, ma allo stato degli atti non vi sono alternative e quindi l’Italia continuerà a combattere”. Con queste parole Mussolini risponde a un messaggio personale che papa Pio XII gli ha fatto avere ieri1. Il Santo Padre – diceva il messaggio – “per divino volere Vescovo di Roma e per vetusta disciplina canonica Primate d’Italia, vuole ancora una volta dichiarare all’on. Mussolini che Egli, come sempre, è disposto a fare il possibile per venire in aiuto al popolo che soffre”.

La risposta è stata comunicata stamani al cardinale Luigi Maglione, Segretario di stato, da Galeazzo Ciano, ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede. Ciano sa bene che il papa non è solito fare comunicazioni personali di questo tipo, e il messaggio, nonostante le molte precauzioni usate nella forma e nel contenuto, era abbastanza chiaro. Ciano, perciò, non esita a dire, confidenzialmente, quello che pensa e che sa2: “Mussolini non è in uno stato d’animo da comprendere la necessità di trarre il paese dalla disastrosa situazione in cui si è messo. Il re non si muove; il principe di Piemonte è preoccupato, ma non crede di poter parlare e meno ancora di agire per rispetto e per disciplina verso il padre. Bisognerebbe trattare, ma Mussolini non vuole e gli Alleati non tratteranno mai con lui”. Ancora più confidenzialmente Ciano aggiunge che Mussolini non ha affatto gradito il passo della Santa Sede e che lo ha commentato dicendo che si sarebbe combattuto “fino all’ultimo italiano”.

Mussolini non ritiene di potersi staccare dall'alleato tedesco. Una cartolina viene stampata e diffusa per confermare l'indissolubilità dell'alleanza fra il Duce e il Fuhrer

Mussolini non ritiene di potersi staccare dall’alleato tedesco. Una cartolina viene stampata e diffusa per confermare l’indissolubilità dell’alleanza fra il Duce e il Fuhrer.

Nella situazione travagliata in cui versa l’Italia è da tempo che il papa è apparso a molti come l’unica autorità che conservi il prestigio e l’autorità morale per poter proporre agli Alleati una pace di compromesso o almeno di iniziare un’opera di mediazione.

È per questo che il papa ha ricevuto molte visite in questi mesi, e molti di coloro che hanno chiesto udienza erano militari: il 19 febbraio il generale Visconti Prasca; il 22 il generale Bastico, maresciallo d’Italia3; il 7 marzo il generale Squillace; l’8 il generale Roncaglia; il 15 il generale Magli e l’ammiraglio Turr, il 26 il generale Caviglia, anche lui maresciallo d’Italia; il 27 aprile l’ammiraglio Thaon de Revel e il 29 il generale Cavallero. Soltanto visite, con famiglia, di omaggio e devozione?

Anche il presidente Roosevelt vede la Santa Sede come punto di riferimento e, partito da Roma il suo rappresentante personale, Myron Taylor, si appoggia al nunzio apostolico negli Stati Uniti, il cardinale Cicognani. Vuol sapere se, a guerra finita, è il caso di mantenere la monarchia e chi potrebbe essere il nuovo primo ministro e con quale tipo di governo. Il Segretario di stato cardinale Maglione suggerisce a Cicognani di prendere tempo. Evidentemente in Vaticano non si hanno ancora idee chiare.

Il 4 aprile il papa ha ricevuto il capo del governo ungherese, Nikolas Kallay, anche lui in cerca di una soluzione che faccia uscire il suo paese dalla guerra. Il papa, scriverà Kallay4, ha affermato di essere pronto a offrire la sua mediazione, “ma a tempo opportuno”. Kallay lo riferisce a Mussolini e Mussolini – è sempre Kallay che lo scrive – dice che tutto dipenderà dal suo prossimo incontro con Hitler; e dicendolo “si tormentò le mani, si raggomitolò più volte sul divano e aggiunse che non si sentiva fisicamente in grado di litigare col Führer”.

Giorno dopo giorno la situazione generale si aggrava e il 10 maggio monsignor Tardini, segretario per gli affari straordinari della Segreteria di stato, presenta una nota al papa e al cardinale Maglione5: “La situazione dell’Italia è di una gravità eccezionale. Sotto l’aspetto militare l’Italia ha su di sé tutto il peso delle armi anglo-americane, mentre non ha né marina né aviazione, né armi sufficienti per difendersi. Sotto l’aspetto politico il popolo è illuso da discorsi, articoli ecc., come se fosse alla vigilia della riscossa, mentre l’on. Mussolini, responsabile di tutto, non si preoccupa che di rimanere al potere. Sotto l’aspetto economico e sociale, alla penuria, allo scontento, che già hanno sviluppato germi di comunismo, si aggiungerà tra poco la fame, la desolazione, la miseria generale a causa dei continui e spietati bombardamenti che distruggeranno case e cose, scompagineranno le comunicazioni e renderanno quasi impossibili i rifornimenti, seminando ovunque morte e rovine”. Di conseguenza: “Di fronte a questo triste spettacolo c’è da domandarsi se non sia consigliabile un intervento della Santa Sede”.

L’intervento, secondo Tardini, pone però dei problemi. La Santa Sede deve mantenere la sua politica di neutralità, senza compromettersi né coi tedeschi né col governo italiano; ma d’altra parte il Vaticano non può disinteressarsi delle sorti dell’Italia. È quindi necessario “di fronte alla riconosciuta incoscienza di Mussolini, poter dimostrare domani che la Santa Sede ha visto giusto e ha fatto il possibile in favore dell’Italia”.

Ma come operare? “L’intervento della Santa Sede” conclude Tardini “dovrebbe essere fatto in modo da non compromettere la sua neutralità né la sua dignità e il suo prestigio di fronte al popolo tedesco e al popolo italiano”. L’intervento dovrebbe perciò ispirarsi ai seguenti criteri: “Primo, essere segreto, non pubblico; secondo, essere pastorale e paterno, cioè esprimere le ansie, le preoccupazioni del Pastore supremo per il suo popolo prediletto e richiamare l’attenzione di chi di dovere sopra i mali incombenti”.

Monsignor Tardini suggerisce anche la forma dell’intervento: o una lettera personale del papa a Mussolini o una comunicazione verbale attraverso l’ambasciatore italiano presso la Santa Sede. Pio XII sceglie la seconda via e ieri il cardinale Maglione (nel linguaggio diplomatico “comunicazione verbale” significa parole accompagnate da un testo scritto) ha letto e consegnato il messaggio al conte Ciano: “L’Augusto Pontefice, Padre di tutti i fedeli, che si è sempre adoperato per risparmiare alle inermi popolazioni civili di tutti i paesi gli orrori della guerra, partecipa con profonda amarezza ai tanti e durissimi patimenti che il conflitto ha causato ai Suoi diletti Figli d’Italia. Ma preoccupazioni anche più gravi suscita nel Suo Cuore paterno il pensiero dell’avvenire, che minaccia al buon popolo italiano sempre maggiori lutti e rovine”. E poi il seguito che qui è riassunto all’inizio.

Il papa non ha offerto nessuna garanzia, né, per il momento, poteva offrirne. Ma l’interlocutore continua a drogarsi. Solo una settimana fa6 dal balcone di palazzo Venezia ha detto che Dio è giusto e che l’Italia è immortale; e che quindi non ha senso nessuna mediazione, neppure del rappresentante di Dio in terra.


1 Negli archivi della Santa Sede (ADSS), 12/5/43.

2 Ibidem

3 Il grado di maresciallo d’Italia è stato istituito dal governo fascista nel 1925. I primi due furono i generali Diaz e Caviglia. Nel 1938 fu creato un grado ancora più altro: di “primo maresciallo dell’impero”, attribuito al re e a Mussolini.

4 In Memoirs; e poi in Deakin, La repubblica di Salò, già citata.

5 Negli archivi della Santa Sede (ADSS), 10/5/43.

6 Si veda la giornata del 5 maggio – la giornata è ancora in fase di studio.