28 dicembre

Nel poligono di tiro di Reggio Emilia, sette fratelli, contadini di Gattatico, vengono fucilati, per la loro attività nella Resistenza, dai militi della Guardia nazionale repubblicana. Sono i sette fratelli Cervi.

Stamani all’alba nel poligono di tiro di Reggio Emilia venti militi della GNR, la Guardia nazionale repubblicana, hanno fucilato sette fratelli: Gelindo, 42 anni; Antenore, 37; Aldo, 34; Ferdinando, 32; Agostino, 27; Ovidio, 25; Ettore, 22. Il cognome è Cervi. Tre di loro sono scapoli; quattro hanno moglie e figli; la moglie di Gelindo ne aspetta un altro. Dalla cronaca passeranno alla storia: sono i sette fratelli Cervi.

La famiglia Cervi al completo in una foto del 1931: Alcide, Genoveffa e i nove figli

La famiglia Cervi al completo in una foto del 1931: Alcide, Genoveffa e i nove figli.

La famiglia Cervi è una famiglia contadina da sempre. Nella seconda metà dell’Ottocento, Agostino, il nonno, lavorava a mezzadria in un podere a Tagliavino di Campègine, sedici chilometri a est di Reggio, quattro dalla via Emilia; qui nacquero tre figli, tra cui Alcide, che crebbero insieme a un quarto, adottato. Nel 1899 Alcide si sposò e tra il 1901 e il 1921 ha avuto nove figli, i sette maschi e due femmine, Diomira e Caterina detta Rina o Verina.

Nel 1920 Alcide si è trasferito con la moglie Genoveffa e gli otto figli (Ettore non è ancora nato) a Olmo di Gattàtico, a sette chilometri in linea d’aria da Campègine, verso Parma; e poi, nel 1925, nella tenuta Valle Re di proprietà della contessa Levi Sottocasa, di nuovo nel comune di Campègine. Ma la mezzadria è avara, la famiglia è numerosa, i ragazzi sono tutti grandi, la terra rende poco e dà poco da mangiare. Nel 1934 Alcide tenta il gran passo: prende in affitto un podere lì vicino, a Gattàtico; lo chiamano i Campi Rossi e l’affitto è modesto, perché quella terra è considerata poco fertile, nonostante sia vicina al fiume Enza, che sbocca nel Po a Viadana, una quindicina di chilometri a nord. La gente dice che i Cervi sono matti; sono “teste calde” dicono anche, perché hanno fama da tempo di essere contadini che lavorano duro ma non accettano in silenzio la loro povertà. Il nonno Agostino è stato sei mesi in carcere, nel 1864, uno dei protagonisti delle rivolte contadine che a lungo agitarono la Bassa emiliana contro la tassa sul macinato1.

Dei sette fratelli, Aldo è politicamente il più attivo. Nel 1929, a venti anni, è stato arrestato con l’accusa di attività sovversiva (parlava male di Mussolini) e imprigionato a Gaeta. C’è rimasto tre anni, e gli altri detenuti politici gli hanno insegnato quello che non aveva potuto imparare con la sua licenza di terza elementare della scuola di Campègine; soprattutto Marx e Gramsci; anche qualche elemento di anarchismo. Tornato a Gattàtico, Aldo mette insieme con i fratelli – a disposizione di chi vuole, e sono molti – una specie di biblioteca circolante; pochi libri, tutti di politica, i libri proibiti dal regime fascista.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre la casa dei Cervi è diventata un centro di sosta e di smistamento di gente ricercata: militari italiani sbandati dopo la dissoluzione dei loro reparti, militari stranieri (inglesi, americani, anche russi) scappati dai campi di prigionia; poi anche i primi partigiani della zona. Ci si rifugia in qualche casolare abbandonato e la nebbia che in questa stagione grava sulla zona è così fitta in certi giorni che ci si nasconde meglio che in un bosco.

A Reggio Emilia, però, l’Upi, cioè l’Ufficio investigativo della Guardia nazionale repubblicana, comincia a mettersi in allarme; tra Gattàtico e Campègine sicuramente c’è una base della lotta partigiana. A una riunione, il 23 dicembre, partecipa anche il segretario del fascio repubblicano di Campègine, il professore Riccardo Cocconi, proprietario di alcuni terreni della zona. Due giorni dopo, nella notte fra il 24 e il 25, i fascisti assediano la casa dei Cervi. Qualcuno2 scriverà, anni dopo, di uno scontro a fuoco e dei fratelli Cervi che si difendono “fino all’ultimo proiettile”; ma gli eventi successivi non confermano una così cruenta versione. I sette fratelli, il padre Alcide e un certo Camurri, Quarto di nome, che aveva disertato dalla Milizia, vengono arrestati e condotti a Reggio, prima nel carcere dei Servi, poi in quello di San Tomaso. Niente processo sommario, come si usava in quei tempi, e niente immediata fucilazione3.

Siamo al 25. Passano due giorni e il 27 accade un fatto nuovo: a Bagnolo in Piano, sei chilometri a nord di Reggio, sulla strada che porta a Novellara e poi a Guastalla, il segretario del fascio locale viene ammazzato dai partigiani. È necessaria, si dice, una rappresaglia. In serata si riunisce a Reggio un “tribunale straodinario”; non si sa chi lo compone e che autorità abbia; si conosce la decisione: fucilare i Cervi e il Camurri, senza consultarsi con nessuno. Sono comunisti; forse anarchici.

Il capo della provincia, conte Enzo Savorgnan, viene a sapere della fucilazione a cose fatte. Da tempo sui muri di Reggio si leggevano delle scritte “Enzino vai troppo pianino”4.

Tra qualche giorno, il 6 gennaio, papà Cervi uscirà dalle carceri di Reggio. Evaso durante un bombardamento aereo, rilasciato dai fascisti? Non si sa. Tornerà a Gattàtico e nessuno lo cercherà più5.

Stamani sul Corriere della sera il filosofo e presidente dell’Accademia d’Italia Giovanni Gentile ha esortato alla pacificazione e a evitare una “lotta fratricida”. Però ha anche invitato il “popolo sano” ad ascoltare “la voce della patria”.


1 La cosiddetta tassa sul macinato è un’imposta a cui si ricorse più volte nel Seicento e nel Settecento e che fu incredibilmente ripristinata nella seconda metà dell’Ottocento. Era un’imposta sui cereali, a cominciare dal grano, e quindi sui pane, che era il principale se non unico alimento delle classi più povere. Incredibile era anche il metodo di calcolo della tassa: all’interno di ogni mulino veniva applicato un contatore meccanico che calcolava i giri della ruota macinatrice; l’imposta era dovuta in proporzione dei giri della ruota ed era il mugnaio, diventato esattore, a dover richiedere al contadino il pagamento dell’imposta. La tassa fu finalmente abolita nel 1880 dal governo presieduto da Benedetto Cairoli. Le tensioni sociali di quegli anni proseguirono nel tempo per altri e diversi motivi (le rigide regole mezzadrili, i sistemi di proprietà, i modi di conduzione padronali, la politica agraria) e spiegano la permanente agitazione politica e sociale delle masse popolari dell’Emilia-Romagna, con la larga adesione nei primi anni del Novecento al partito socialista, anche nelle espressioni più estremiste, le prime cooperative, le case del popolo, le mutue, le camere del lavoro; e le lotte per il rinnovo dei patti agrari, prima e più ancora dopo la Grande Guerra, negli anni 1919-1922; e poi, dopo il ventennio fascista, la partecipazione armata alla lotta partigiana durante la Resistenza e poi i tragici fatti degli anni 1945-46.

Alle vicende della situazione contadina nella Bassa emiliano è dedicato il Mulino del Po, che Riccardo Bacchelli (1891-1985) ha pubblicato in tre volumi nel 1938-1940. Dal romanzo di Bacchelli sono stati tratti nel 1949 il film, con lo stesso titolo, di Alberto Lattuada (interpreti principali Jacques Sernes e Carla Del Poggio) e nel 1971 un telefilm di grande successo, regia di Sandro Bolchi e interpreti Valeria Moriconi, Ottavia Piccolo, Mario Piave, Nino Pavese, Ornella Vanoni.

2 Così Giorgio Pisanò in Storia della guerra civile in Italia, Edizioni Val Padana, Milano, ristampa 1974.

3 I fascisti locali, di cui Marcello Pisanò (vedi nota 2) si fa portavoce, hanno più tardi sostenuto che il professor Cocconi, che aveva partecipato alla riunione che aveva deciso l’arresto dei Cervi, era in realtà iscritto al Partito comunista. Perché, allora, i Cervi non furono avvertiti né da lui né dal partito? Perché – risponde Pisanò – il Pci non vedeva di buon occhio i Cervi, che agivano in maniera troppo autonoma rispetto al partito. O forse perché avevano fama di anarchici?

4 Sulla vicenda è uscito nel 1968 un film diretto da Gianni Puccini (I sette fratelli Cervi). Interprete principale Gian Maria Volonté (Aldo Cervi); altri interpreti Don Backy (il nonno Agostino), Riccardo Cucciolla (Gelindo), Carla Gravina (Verina), Serge Reggiani, Lisa Gastoni, Oleg Jakov (papà Alcide).

5 Alcide Cervi è morto nel 1970 a 95 anni.

28 dicembre – Di più

– Su YouTube si trova la prima parte di una intervista in video di quasi mezz’ora con Maria Cervi, figlia di Antenore, uno dei sette fratelli. Da qui è facile trovare le altre quattro parti. Maria Cervi aveva nove anni il 28 dicembre del 1943; è morta a 63 anni nel 2007.

– A Gattatico, a una decina di chilometri da Campegine e a sette chilometri da Parma, sorge un istituto “Alcide Cervi” per “la storia dell’agricoltura, dei movimenti contadini, dell’antifascismo e della resistenza nelle campagne”; ha anche un museo, “luogo di memoria e centro di studi”. Si può vedere il sito www.istitutocervi.it.

– La casa colonica della famiglia Cervi a Gattàtico è oggi un museo della Resistenza e del movimento contadino, gestito dall’Istituto Alcide Cervi. Se ne parla in parecchi siti; fra gli altri: www.fratellicervi.it e www.anpi.it.

– Della vicenda parla anche Marco Paolini nel suo Mercanti di liquore; alcuni minuti di filmato in http://www.youtube.com/watch?v=lvNmdtgCT6w e in http://www.youtube.com/watch?v=C-_7WPxQRqU.