20 luglio

Mussolini si incontra a Feltre con Hitler, preoccupato della situazione italiana. Durante i colloqui arriva la notizia del bombardamento di Roma, ma, rientrato nella capitale, Mussolini ha ben altre cose a cui pensare.

Mussolini è tornato ieri sera da Feltre, dove si è incontrato con Hitler. È Hitler che, preoccupato da un rapporto allarmante sulla situazione in Italia, ha chiesto di voler parlare con Mussolini, e l’incontro si è svolto nella villa settecentesca che il senatore Gaggia ha vicino a Feltre, una trentina di chilometri da Belluno. Mussolini è partito da Roma in aereo nel pomeriggio del 18 col suo medico e il suo segretario alla volta di Riccione; di qui, ieri mattina, all’aeroporto di Treviso, alle 8.30, e poi in treno a Feltre insieme a Hitler, arrivato allo stesso aeroporto alle 9 in punto. Che cosa proporrà Hitler? Qualcuno ha fatto una previsione: esautorazione del re, pieni poteri (formali) a Mussolini, pieni poteri effettivi all’alto comando tedesco.

Dopo due ore di monologo di Hitler (“Mussolini” scriverà Dino Alfieri “seduto sul bordo della poltrona troppo ampia e profonda, ascoltava impassibile e paziente con le mani incrociate sulle gambe accavallate”)1 il segretario di Mussolini entra nella sala e gli consegna un foglio. Mussolini lo legge e lo traduce in tedesco ad alta voce: “In questo momento il nemico sta violentemente bombardando Roma”.

Dopo l’interruzione per il pranzo (Mussolini e Hitler da soli) la conferenza termina poco dopo e alle 5 del pomeriggio i due si salutano all’aeroporto di Treviso. Mentre l’aereo di Hitler decollava, Mussolini è rimasto sulla pista col braccio levato nel saluto fascista; a lungo, finché l’aereo non è scomparso a nord, oltre le montagne2.

Nessun comunicato sull’incontro di Feltre; ma in serata, a Roma, Mussolini ha chiesto a Bastianini di farne uno, per spiegare la sua assenza dalla città proprio nel giorno del bombardamento. Solo per questo; e a visitare il quartiere bombardato di San Lorenzo andrà soltanto fra sei giorni, il 25, in tarda mattinata, su suggerimento pressante di Galbiati, il comandante della Milizia fascista.

A Roma Giuseppe Bottai, che ha letto con attenzione il messaggio di Roosevelt e di Churchill, e non per nulla l’ha allegato al suo diario di due giorni fa, vuol sapere che cosa è accaduto a Feltre. Stamani alle 10 è andato a trovare Farinacci3, al Grande Albergo4, e insieme si sono recati a Palazzo Chigi per avere notizie da Bastianini, che a Feltre è stato con Mussolini insieme al generale Vittorio Ambrosio, Capo di stato maggiore generale, e a Dino Alfieri, ambasciatore d’Italia a Berlino. Bastianini è sottosegretario al ministero degli esteri, di cui dallo scorso febbraio è titolare Mussolini (che ha anche i ministeri degli interni e i tre militari: guerra, marina e aeronautica).

Nella pagina di oggi del suo diario5 Bottai è impressionato da quello che Bastianini gli ha raccontato dell’incontro di Feltre: “È una narrazione assai triste. Un’aria di imbarazzo, di disagio, d’equivoco lo ha compromesso fin dall’inizio sul terreno della reticenza e della finzione. Il nostro Capo, impacciato, sofferente, non sa purificare quell’aria con una parola franca, cruda, che rompa ogni indugio alla verità. Bastianini così ce lo descrive, per tutto l’incontro: riluttante a entrare in discorso, indeciso nel rispondere ai lunghi sproloqui dell’altro pieni di aspre critiche agl’indirizzi tecnico-organizzativi del nostro esercito, per cui molto del prezioso materiale inviato è andato perduto prima d’essere messo in opera; e, infine, desiderio di tagliare la corda, d’anticipare la partenza. Dei due colloqui a solo con Hitler, poche frasi smozzicate, che fanno intendere avere sempre quegli parlato e l’altro ascoltato. Non sono mancati incitamenti, da parte di Bastianini e di Ambrosio, che intanto aveva parlato chiaro con Keitel, a annunziare al Fuhrer l’inevitabilità d’una capitolazione a breve scadenza, ove soccorsi decisi e rapidi non fossero venuti. Ma il nostro non ha osato la dura confessione, limitandosi a polemizzare contro la fatale parola: ‘capitolazione’. Avrebbe detto: ‘Ma non capite che il nemico non ci lascerà neppure gli occhi per piangere?’. Che non è una riposta, ma un rinvio. E ancora: ‘Se dovremo dir questo ai nostri alleati, basteranno due telegrammi: uno a Berlino, uno a Tokio’. Che è una viltà, aggiunta all’irreparabile. Insomma, un incontro inutile, infruttuoso d’impegni sicuri e di leali decisioni”.

Nel pomeriggio di ieri, Giuseppe Bottai è andato a fare un giro nelle zone della città colpite dalle bombe e a sera, sulla via dei Colli, sulla Tuscolana, l’Appia, la Casilina, ha visto “cortei di povera gente con carretti e biciclette, con qualche raro tassì e camion, o a piedi, che evade dalla città con masserizie e provvigioni sulle spalle”6.

Stamani è andato al cimitero del Verano anche Alberto Agostinelli, pronipote di Ettore Petrolini, il grande attore comico del primo Novecento. “Una cosa tremenda” racconterà7; “il piazzale era irriconoscibile, la basilica distrutta fino al campanile, i banchi dei fiorai devastati. La pietra tombale di Petrolini era spaccata in due. Si vedevano alcuni brandelli del frac con cui aveva voluto essere sepolto”.


1 In Due dittatori di fronte, di Dino Alfieri.

2 Ibidem.

3 Roberto Farinacci (1892-1945), segretario del Partito fascista nel 1925-1926, ha rappresentato l’ala estremista, antimonarchica a e razzista del fascismo, spesso in contrasto con Mussolini. Aderirà alla Repubblica sociale e sarà fucilato dai partigiani.

4 Così, nella campagna fascista di nazionalismo linguistico, era stato rinominato il Grand Hotel.

5 In Diario 1935-1944, Rizzoli, 1989.

6 Ibidem.

7 Sul Messaggero del 19 luglio 2003.