L’etica e il giornalismo

Saggio pubblicato dal numero 1 del 2006 di “Etica”, rivista quadrimestrale

della Fondazione Lanza, Padova

 


   Le agenzie di informazioni sono state uno degli elementi più importanti nel processo di sviluppo delle società nazionali e della società internazionale. Nate a metà dell’Ottocento, al culmine della prima rivoluzione industriale, vedono oggi a rischio, dall’inizio di questo secolo, la propria istituzionale ragione d’essere. Con Internet hanno perso il privilegio dell’esclusività dell’informazione di base; con la televisione in diretta hanno perso il privilegio della rapidità.

    Agenzia Havas, Parigi, 1835; agenzia Wolff, Berlino, 1849; agenzia Reuter, Londra, 1851. Nel secolo diciannovesimo una società in ascesa comincia a vedere nell’informazione – prima economica e finanziaria, poi anche politica, poi anche di cronaca – uno strumento di lavoro e un mezzo di conoscenza. Nascono i quotidiani di informazione, ma raccogliere informazione è difficile, è lento e costoso. Le agenzie di stampa si mettono via via in condizione (messaggeri a cavallo, piccioni viaggiatori, i primi servizi postali con le  diligenze; poi ferrovie e telegrafo elettrico) di fornire ai giornali un’informazione  sempre più completa, sempre più rapida e, con l’aumento del numero degli abbonati, con un costo sempre più basso.

  Col secolo ventesimo, tra guerre e rivoluzioni, le agenzie di stampa accentuano il loro peso. Arriva la società di massa. Lo sviluppo industriale crea grandi concentrazioni urbane, i rapporti primari fra i cittadini vengono a cadere, la comunicazione diretta diventa sempre più limitata o impossibile e ad essa si sostituisce a poco a poco la comunicazione indiretta, cioè la stampa.

  Ancor più dopo la seconda guerra mondiale. Dagli anni Cinquanta in poi si ha quella che è stata chiamata l’”esplosione delle informazioni”. Molte le cause: all’interno, nell’Occidente, lo sviluppo della democrazia e del pluralismo, la nascita o il rinvigorimento degli organi locali politici e amministrativi, la moltiplicazione dei centri che producono notizie, l’allargamento dell’istruzione pubblica, l’estensione del diritto di voto; all’estero la conquista dell’indipendenza da parte di decine di paesi già colonie, la nascita di nuove nazioni, l’interdipendenza fra le varie parti del mondo.

   Grazie anche al progresso tecnologico (radio, telefono, televisione; poi telescrivente, telefax, satelliti artificiali; poi computer) le agenzie sono i soli strumenti in condizione di assicurare un’informazione completa e, insieme, un’informazione rapida, un’informazione diretta (in ufficio o in casa), un’informazione selezionabile secondo le esigenze del fruitore, un’informazione memorizzata, e quindi pregressa, accanto all’informazione corrente.

  Dagli anni Ottanta alla fine del secolo le nuove tecnologie elettroniche e il passaggio dall’analogico al digitale aprono nuovi orizzonti. Le agenzie di informazione sono gli unici organismi capaci di garantire anche le nuove conquiste informative: la multimedialità (cioè l’unificazione in un solo medium della parola scritta, della parola detta, dell’immagine fissa, cioè la foto, dell’immagine in movimento, cioè il filmato), l’ipertestualità (cioè l’arricchimento immediato di un testo con altri testi), la personalizzazione dell’informazione (cioè un’informazione “a misura” del fruitore).

  Il trionfo è breve e temporaneo. E’ arrivato Internet. Se il giornalismo è mediazione tra la fonte e il fruitore dell’informazione  (e le agenzie sono, a monte dei giornali, il principale organo di mediazione), questa grande rete planetaria rende possibile al fruitore l’accesso diretto alle fonti di informazione. E’ il massimo dell’interattività, permettendo al fruitore di essere non un ricettore passivo ma un protagonista attivo e creativo. E’ il massimo della personalizzazione, permettendo al fruitore un’informazione “costruita” attraverso una personale ricerca delle fonti.

  Ma quale affidabilità è garantita dalle fonti accessibili direttamente in Internet?

 Le fonti primarie, cioè i soggetti pubblici e privati hanno un proprio biglietto da visita, spesso autorevole, ma distribuiscono ovviamente una loro codificata “verità”; e le altre fonti, cioè i mille e mille siti senza una riconosciuta identità, reperibili casualmente in Rete o che i motori di ricerca raccolgono, con meccanismi automatici, senza preoccuparsi di garantirne l’autorevolezza, offrono un’informazione ricchissima ma quasi sempre inaffidabile o, per lo meno, di non facile controllo.

  Se l’informazione è oggi indispensabile come strumento di conoscenza e di lavoro, l’informazione deve essere corretta e quanto più possibile esatta. La sopravvivenza delle agenzie di informazione, cioè la  necessità di ricorrere ad esse come sicuri organi di base, dipende allora dalla misura in cui la loro mediazione significhi non soltanto gestione delle informazioni che circolano fuori dalla Rete e dentro la Rete, ma anche verifica e controllo di quelle informazioni; una mediazione che sia soprattutto mediazione di verità.

     Quale che sia il sistema generale dei media – ieri, oggi o domani – le agenzie di informazione hanno quattro fasi di lavoro: la raccolta delle informazioni, la selezione e il controllo delle informazioni (due atti paralleli), la gestione delle informazioni, la loro distribuzione.

  La distribuzione non ha più problemi. Non c’è, come nel passato, la precarietà del telegrafo e del telefono e, per le grandi distanze, del radiotelegrafo e del radiotelefono. Reti telefoniche, satelliti artificiali e Internet assicurano da tempo una distribuzione rapida, sicura e dovunque in qualsiasi parte del mondo.

  Non ha problemi anche la raccolta delle informazioni. Una grande agenzia ha una sua organizzazione capillare in molti o in tutti i continenti, integrata dagli accordi di reciprocità e di scambio con le altre agenzie nazionali e internazionali. Esiste quindi una rete planetaria in condizione di garantire la conoscenza di un evento nel giro di qualche secondo o, attraverso i canali televisivi, una conoscenza immediata, cioè, come si dice, in tempo reale.

  Qualche problema nasce per la selezione e per il controllo delle informazioni. Il criterio di selezione dipende dal mercato o dai mercati cui le agenzie si rivolgono. Le agenzie hanno infatti non un solo notiziario, ma più notiziari, alcuni per l’interno, altri per l’estero, e questi nelle prevalenti lingue locali o di uso: in inglese, prevalentemente, ma anche in spagnolo, in francese e in arabo.

  Anche all’interno i mercati possono essere diversi: non più soltanto la stampa quotidiana e periodica, ma anche (ecco perché le agenzie non si chiamano più “di stampa”, ma “di informazione”) il settore pubblico (gli organi centrali e periferici dello stato, di governo e amministrativi), il settore politico e sindacale e anche il settore privato (industria, commercio, credito ecc.). Da qualche tempo si è aggiunto anche il mercato di Internet, che però, quando è gratuito, può dare accesso soltanto a un notiziario ridotto per contenuti e compilato in base alle caratteristiche di questo medium multimediale.

  Un tempo le agenzie avevano, per l’interno, più notiziari di informazione generale, diversi per contenuti e soprattutto per ampiezza, secondo le esigenze dei destinatari: uno più esteso (l’Ansa di 220-260 mila parole, 600 o 700 notizie) e altri ridotti (50-60 mila parole, con le notizie più importanti; 30 mila nei notiziari regionali, in rapporto agli interessi informativi delle singole regioni; più brevi e non giornalieri i notiziari specializzati). I nuovi meccanismi elettronici permettono oggi all’utente di “ritagliare” da sé nel grande notiziario di base (questa operazione è chiamata “un’informazione alla carta”) le categorie informative (politica, esteri, economia, cronaca, sport, spettacolo) che lo interessano; oppure di ricercare, in base ai codici che identificano ogni notizia o in base a parole chiave (ogni parola può essere parola chiave), le notizie di cui ha bisogno. Questo permette all’agenzia di offrire anche l’accesso “a tempo” al notiziario, cioè quando l’utente vuole e per quanto tempo vuole, con conseguente pagamento non in abbonamento annuale ma secondo il consumo.

  Tutto questo presuppone comunque un criterio di base nella scelta delle informazioni; che cosa è notizia? Il criterio è semplice: un accadimento è un evento degno di essere raccontato se si ritiene che interessi il destinatario; cioè è notizia il fatto che si è convinti  possa soddisfare i bisogni informativi del cittadino-lettore (o radioascoltatore o telespettatore) e accrescere il suo patrimonio di conoscenze, dandogli modo di essere più libero nei suoi giudizi, più sicuro nelle sue decisioni, più soddisfatto nelle sue curiosità.

  L’utilità (e quindi l’informazione che aiuta ad amministrare la propria vita personale e familiare), la partecipazione (e quindi l’informazione che aiuta a convivere  meglio nella comunità) e la curiosità (cioè il desiderio di sapere e la sete di conoscenze) sono i tre stimoli che nella preistoria dettero vita alla comunicazione diretta e sono i tre stimoli che danno vita anche oggi alla richiesta di informazione.

   La richiesta di informazione da parte dei cittadini ha tuttavia una sua storicità; cioè può cambiare secondo il momento e i suggerimenti offerti da quello che accade intorno a noi. Di conseguenza cambia, per gli organi dell’informazione primaria, non il criterio di base delle scelte, ma la valenza o la priorità di certe scelte.

  Non di più, però. I giornali possono indulgere alla discutibile tendenza alla drammatizzazione dei fatti (il “doping” dell’informazione) o alla creazione di quelli che vengono chiamati “eventi mediatici”. Un’agenzia seria, no. Per i giornali il mercato è da conquistare: o per fini commerciali con la competitività e la concorrenza; o per fini politici con la strumentalizzazione e la manipolazione delle informazioni. Per le agenzie il mercato – per lo meno quello giornalistico – è praticamente stabile; non è da conquistare ma da conservare, e lo si conserva soltanto con l’autorità garantita da una informazione corretta.

  La correttezza dell’informazione è ovviamente assicurata non solo da una pertinente selezione delle informazioni, ma dal controllo della loro esattezza. Le due operazioni – di selezione e di controllo – marciano parallele: l’informazione selezionata o è prodotta dalle stesse strutture dell’agenzia (ovviamente affidabili in quanto tali) oppure è omologata dall’autorità della fonte (autorità conosciuta per esperienza o accertata  attraverso controlli incrociati con altre fonti) oppure, in mancanza di certezze, è riferita con la chiara attribuzione alla fonte che l’ha emessa e col potente sussidio delle virgolette. Ci sono anche le informazioni, a volte interessanti e importanti, messe in giro da fonti anonime o che pretendono l’anonimato; un’agenzia seria le ignora, sia pure con rammarico, evitando espressioni ambigue come “Secondo voci che circolano…” o ipocrite come “In ambienti qualificati…”.

  Detto questo, si aggiunga che un’agenzia importante segue giornalmente dai tre ai quattrocento fatti di interesse generale, mentre un quotidiano nazionale ne segue in media dai cento ai centocinquanta e un quotidiano locale non più di cinquanta-sessanta. I giornali hanno quindi una larga possibilità di selezione. Si può concludere che nella scelta dei contenuti, cioè dei fatti, un’agenzia non può influenzare la stampa quotidiana. L’influenza, semmai, è positiva; un’agenzia funziona infatti da strumento ma anche da calmiere di completezza: un quotidiano di tendenza non può infatti ignorare un fatto sgradito alla sua parte; l’agenzia è lì a mostrare che quel fatto esiste; e il giornale può limitarsi soltanto a dargli poco rilievo, di ampiezza e di importanza.

  Il pericolo è che l’agenzia, anche se privata, venga condizionata, di più o di meno, dal Potere politico o dal Potere economico; dal primo più che dal secondo, perché lo Stato è – per servizi e numero di abbonamenti (abbonati sono tutti gli organi istituzionali, all’interno e all’estero) – il cliente più importante dell’agenzia e la maggiore fonte di introiti. Il pericolo può presentarsi, e spesso si presenta, anche in una democrazia pluralistica. Dipende dal governo e dalla maggioranza che lo guida e dipende dalla fermezza della proprietà dell’agenzia e della Direzione giornalistica.

   I possibili condizionamenti del Potere politico non si manifestano tuttavia nell’omissione delle notizie, ma nel modo di gestirle. Oggi esistono tanti canali e tanti veicoli di trasmissione delle informazioni, a cominciare da Internet, per cui è impossibile nascondere un fatto, salvo quelli (e sono tanti e importanti, sul piano militare e politico-militare) che, come l’esperienza storica dimostra, vengono nascosti dall’autorità che li gestisce, e che si scoprono solo col tempo. L’intervento governativo si esercita quindi nel modo di trattare l’informazione, e questo presuppone un’adesione consapevole e fattiva della Direzione dell’agenzia e dei suoi redattori.

   Delle quattro fasi di lavoro di un’agenzia la gestione delle informazioni è la più delicata. La prima norma riguarda la scrittura ed è semplice: il pubblico al quale le agenzie si dirigono (attraverso gli organi di stampa intermedi o direttamente) è il pubblico dei lettori dei giornali a stampa e il pubblico di chi naviga in Internet (cioè alcune fasce socioculturali del paese) ed è il pubblico degli ascoltatori dei giornali parlati. E’ un pubblico che coincide quindi con l’intera società e la regola di scrittura che vale in ogni caso è la regola saggia che dovrebbe guidare tutto il giornalismo d’informazione: l’uso di un linguaggio semplice, sobrio, chiaro, quanto più possibile vicino al linguaggio corrente e lontano da linguaggi ricercati e stereotipati; e, insieme, il rispetto rigoroso dei vari espedienti grammaticali e sintattici (iniziali maiuscole e minuscole, punteggiatura, collocazione delle parole nella frase), ortografici (esatta grafia, accenti), grafici (capoversi); nell’informazione parlata anche la corretta pronunzia, specie dei nomi propri stranieri, di persona e di luogo.

  E’ così che un’agenzia di informazioni, al di là delle sue finalità istituzionali, può dare un concreto contributo alla salvaguardia della lingua nazionale e della sua corretta diffusione, specie in un paese come l’Italia, che era fino ad alcuni decenni fa (e in piccola parte lo è ancora: dialetto-lingua nazionale) un paese bilingue. Purtroppo non tutta la stampa scritta e parlata mostra una eguale preoccupazione. I quotidiani televisivi (su cui, per il pubblico al quale si rivolgono, pesa la maggiore responsabilità) hanno da tempo sostituito gli “speaker”, scelti per concorso e sorretti da severe scuole di dizione, con giornalisti che portano in voce il loro italiano regionale (…”còvo” invece di “cóvo”, “préda” invece di “prèda”…) e il loro disinteresse (pigrizia? supponenza? presunzione?) per il controllo su un qualche dizionario o enciclopedia della corretta pronunzia dei toponimi e degli antroponimi stranieri che la cronaca porta ogni giorno in primo piano.

   Nei giornali a stampa il giornalismo (anche quello di informazione) rimane ancora legato all’antico retaggio delle tradizioni letterarie della nostra lingua, nella pervicace convinzione che il giornalismo attenga alla letteratura e non alla storiografia. Comunque sia, la personalizzazione dello stile, se è accettabile, con indulgenza, nella stampa scritta quotidiana, è impraticabile nel notiziario di agenzia, i cui testi possono essere utilizzati (e spesso lo sono, tali e quali) da tutti i giornali abbonati, quale che sia la loro tendenza, la dimensione e l’area di diffusione (e quindi il tipo di pubblico). Le notizie di agenzia, insomma, devono apparire come se fossero scritte da una sola mano.

   Questo per la scrittura. Ma la gestione delle informazioni riguarda aspetti ancora più delicati, e sono quelli in cui può esercitarsi una possibile manipolazione politica. Sono l’ampiezza, maggiore o minore, della notizia o del servizio (la lunghezza deve essere adeguata all’importanza del fatto raccontato); la struttura (in rilievo, nell’inizio o nel titolo, deve apparire l’elemento o gli elementi più importanti del fatto); la completezza (il rispetto di tutti gli elementi del fatto, senza ignorarne alcuni, importanti ma magari sgraditi a qualcuno); la chiarezza dell’esposizione (una voluta oscurità serve a nascondere certi elementi negativi); la correttezza lessicale (l’uso di certe sigle oscure al posto di voci chiare e di espressioni semanticamente “connotate”; per esempio “rivelare”, “confutare”, che presuppongono un correlato giudizio di chi le usa; anche “giustiziare”, che spesso viene scritto anche quando giustizia non c’è).

   Rimane un problema generale, che riguarda tutto il giornalismo: il problema dell’etica e della deontologia. Per certi aspetti le agenzie di informazione ne sono più coinvolte, per certi aspetti meno.

  L’etica del giornalismo è l’etica del giornalista, cioè, come per chiunque altro, la sua coscienza morale, come cittadino e come professionista; ma, a differenza di altri, chi opera nel campo dell’informazione deve essere ben consapevole delle possibili conseguenze morali, sociali, politiche e culturali di un lavoro che non si esaurisce in se stesso o nell’ambito di poche persone, ma istituzionalmente si rivolge – con un forte potere di convincimento – a un largo universo di cittadini. Più di chiunque altro, quindi, il giornalista deve perciò, nell’esercizio della sua professione, attenersi con rigore non solo al rispetto dei codici e della legislazione del suo paese, ma anche e soprattutto al rispetto della verità.

  Se una “formazione” etica è dovere di tutti, per un giornalista è necessaria anche una “informazione” etica, cioè una buona conoscenza del codice penale, della legislazione sulla stampa e dei codici deontologici stabiliti, in Italia, dall’Ordine professionale (fra cui la cosiddetta “Carta di Treviso”, un documento di autodisciplina per la salvaguardia dei minori, e la “Carta dei doveri”, che ricorda l’obbligo di non ricorrere a discriminazioni di razza, religione, sesso, condizioni fisiche e mentali e opinioni politiche, il diritto delle persone alla riservatezza, la presunzione di innocenza per chi è sotto processo, la trasparenza delle fonti, la turbativa di mercato, l’aggiotaggio).

   Per gli illeciti penali veri e propri (la diffamazione, per esempio) la responsabilità delle agenzie è più pesante, perché il reato da esse commesso si moltiplica per tutti gli organi d’informazione che pubblicano il testo contenente l’illecito penalmente perseguibile (ma il codice prevede una eguale pena per l’una e per gli altri). Per il resto l’illecito dipende non tanto dai contenuti quanto dai modi di raccontarli (le dimensioni, il linguaggio; l’immagine più della parola); e perciò riguarda il tipo di testata in cui si opera (di informazione generale oppure settoriale o specializzata); e soprattutto riguarda il pubblico dei destinatari: sono soltanto alcune fasce socioculturali quelle cui si dirige l’informazione stampata, ma è l’intera società (adulti, bambini, anziani) quella a cui si dirige l’informazione parlata; riguarda, perciò, per le testate radiofoniche e ancor più televisive, anche l’ora di trasmissione: mattina, pomeriggio, prima serata, seconda serata. La televisione è quindi deontologicamente impegnata più della radio, la radio più di un giornale a stampa, il giornale a stampa più di un giornale specializzato. Se rispettano le norme di base, le agenzie risultano praticamente esenti per i notiziari che vengono trasmessi ai giornali; ogni giornale decide infatti autonomamente in relazione al proprio pubblico.

  Eguale, per le agenzie e per gli altri organi di informazione, è il problema che riguarda il diritto di cronaca e il segreto professionale. Sul diritto di cronaca esiste un’ampia giurisprudenza e il dibattito continua a riproporsi in ogni caso importante in cui la cronaca di un fatto comporta la lesione dell’onore di qualcuno o dei suoi interessi. Analogamente dibattuto è anche il tema del segreto professionale, un tema su cui la giurisprudenza è tutt’altro che uniforme e concorde in sede nazionale e anche in sede internazionale (Corte dei diritti dell’uomo, Strasburgo, e Parlamento europeo).

   L’articolo 2 della legge istituiva dell’Ordine dei giornalisti (1963) proclama la libertà di informazione, il rispetto della verità, la tutela della personalità altrui, la lealtà, la buona fede. Le agenzie di informazione hanno in questo campo una maggiore responsabilità, perché operano a monte della stampa scritta e parlata e possono esserne modello ed esempio. Il problema, a monte e a valle, è comunque di quei giornalisti (soprattutto dei direttori, non per nulla chiamati in Italia “responsabili”) che spesso si dimenticano di avere in mano uno strumento importante e delicato. Un giornalismo serio e corretto dipende dalla loro coscienza morale più che dai vincoli della legge, dalle norme deontologiche, dai codici politici (“par condicio”, per esempio).