Xizang. Il Tibet
Lhasa 1978

Lhasa, la capitale del Tibet, è a quattromila metri sopra il livello del mare.
Nella mia stanza d’albergo, attaccata alla testiera del letto, troneggiava una grande bombola d’ossigeno, munita di manometri, valvole e bocchettoni di gomma. Quando andavo a visitare i templi buddisti sui colli intorno a Lhasa mi scortava un medico con a tracolla una riserva d’ossigeno in una specie di cuscino.
Ma non ne ebbi mai bisogno. L’altezza, la rarefazione dell’aria mi davano anzi un senso di benessere, un’euforia che mi pervadeva in ogni parte del corpo e dello spirito.
Alla rarefazione dell’aria si aggiungeva la rarefazione delle distanze e delle altezze. In quei vuoti silenziosi si sentiva albergare una società invisibile, di pietra e di vento, di ghiacciai e di acque, ma animata, animante, con i suoi aliti e le sue forze, perfettamente naturale e logica nella libertà degli spazi deserti.

(Gianni Granzotto, “Il viaggiatore”, 1978)

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