6 maggio

Mentre le truppe italiane e tedesche stanno per arrendersi in Tunisia, Mussolini ricorda l’Africa e l’Impero e arringa la piazza: “Torneremo”. È l’ultimo discorso della sua vita dal balcone di palazzo Venezia.

Titolo a piena pagina in prima, più o meno eguale in tutti i quotidiani di oggi; questo è sul Corriere della sera: “IL DUCE AL POPOLO ITALIANO”. Soprattitolo: “Suprema certezza nella vittoria”. Sottotitolo: “Gli imperativi categorici del momento sono questi: onore a chi combatte, disprezzo per chi s’imbosca e piombo per i traditori di qualunque rango e razza”.

Il sottotitolo riprende le parole finali del discorso che Mussolini ha pronunziato nel tardo pomeriggio di ieri; l’ultimo della sua vita dal balcone di palazzo Venezia. La piazza era piena, colma; anche questa è l’ultima di quelle che sono state chiamate “adunate oceaniche”.

Ultima è forse anche la retorica che da sempre caratterizza la cronaca delle manifestazioni di regime. Questo è il testo della Stefani e dei giornali: “Sento vibrare nelle vostre voci l’antica incorruttibile fede (la moltitudine prorompe in un formidabile grido: Sì!) e insieme una certezza suprema: la fede nel Fascismo (Sì!), la certezza che i sanguinosi sacrifici di questi tempi duri saranno compensati dalla vittoria (altissime prolungate acclamazioni), se è vero, come è vero, che Iddio è giusto e l’Italia immortale (il popolo acclama entusiasticamente al Duce).

Un manifesto di propaganda stampato in questi mesi ma poco diffuso: un guerriero che ha dietro di sé le bandiere delle nazioni della Germania, del Giappone e dell'Italia (ossia del cosiddetto 'patto tripartito') si appresta a distruggere le forze armate dei paesi che Mussolini chiama 'potenze plutocratiche'

Un manifesto di propaganda stampato in questi mesi ma poco diffuso: un guerriero che ha dietro di sé le bandiere delle nazioni della Germania, del Giappone e dell’Italia (ossia del cosiddetto “patto tripartito”) si appresta a distruggere le forze armate dei paesi che Mussolini chiama “potenze plutocratiche”.

“Sette anni or sono noi eravamo qui riuniti in questa piazza per celebrare la conclusione trionfale di una campagna durante la quale avevamo sfidato il mondo e aperto nuove vie alla civiltà (applausi prolungati); la grande impresa non è finita; è semplicemente interrotta.

“Io so, io sento che milioni e milioni di Italiani soffrono di un indefinibile male, che si chiama il male d’Africa (Sì!).

“Per guarire non c’è che un mezzo: tornare. E torneremo (la moltitudine prorompe in nuove irrefrenabili acclamazioni e grida con una sola voce: Sì!).

“Gli imperativi categorici del momento sono questi: onore a chi combatte, disprezzo per chi s’imbosca e piombo per i traditori di qualunque rango e razza (altissimi applausi).

“Questo non è soltanto la mia volontà. Sono sicuro che è la vostra e quella di tutto il popolo italiano”.

 

Il “torneremo” diventerà per qualche giorno la parola d’ordine degli alti gerarchi del fascismo, proprio mentre gli eserciti inglese e americano, dopo avere conquistato tutta la Libia, stanno avanzando in Tunisia, fino alla prevedibile resa dei comandi italiano e tedesco, fra cinque giorni, l’11.

“Si ha l’impressione che l’Italia stia andando a fondo” scriverà il 15 maggio Roberto Suster, direttore dell’agenzia ufficiale del fascismo, la Stefani1; “Nell’esercito l’atmosfera è sempre più sfiduciata. Dicono apertamente che non abbiamo armi, che in vent’anni di fascismo non ci si è mai preoccupati di attrezzare e di adeguare l’esercito in modo proporzionato ai discorsi ed agli atteggiamenti bellicosi del Regime; che, infine, si continua a rubare in un’atmosfera di corruzione degna del peggiore Basso Impero. Certo che le incursioni aeree del nemico si moltiplicano con sempre più disastrosi risultati e che la nostra difesa come la nostra reazione decrescono con altrettanta rapidità. È un’umiliazione, ormai completamente dipendente da quello che vorranno e potranno fare i Tedeschi”.


1 Nel suo diario, op. cit.