30 agosto

I giornali cominciano a parlare, con circospezione, di un’amante di Mussolini. Si chiama Claretta Petacci, di 29 anni più giovane. Il rapporto dura da tempo e finirà con la morte di tutti e due, fucilati sul lago di Como ed esposti il 29 aprile del 1945 in piazza Loreto a Milano.

Tutti i giornali riprendono oggi – noi lo leggiamo sulla Stampa di Torino1 – un lungo pezzo di cronaca pubblicato ieri dal Messaggero. Il cronista del quotidiano romano scrive che la mattina del 26 luglio, appena saputo dell’arresto di Mussolini, fra le tante manifestazioni di giubilo, un gruppo di dimostranti fu visto entrare nel portone di via Nazionale contrassegnato col numero 69. “Di li a poco da finestre e balconi di quel palazzo incominciarono a cadere giù mobili e suppellettili, tra cui si potevano notare camici bianchi, microscopi, brandine e poderosi volumi evidentemente sottratti ad una biblioteca scientifica. Che della incruenta defenestrazione fosse oggetto il gabinetto di un medico era più che certo. Non tutti però sapevano che si trattava del gabinetto del dott. Francesco Saverio Petacci. A provocare l’irruzione degli scalmanati dimostranti non era stata certo la vendetta di qualche paziente che le cure del dott. Petacci non avevano soddisfatto; ben altri ne erano i motivi, e la folla che sempre più andava addensandosi per assistere al chiassoso spettacolo, cominciò a fare il nome di quel medico, sottolineandolo con significative risate e pittoreschi commenti. Il medico non era tanto conosciuto per la sua attività professionale e neppure per gli scritti divulgativi di medicina che proprio sulle colonne del Messaggero trovavano generosa ospitalità. Un nesso tuttavia fra questi scritti e la trista celebrità del loro autore esisteva. Alcuni anni or sono, infatti, il dott. Petacci era stato accolto fra i collaboratori del giornale romano in virtù di un’altissima segnalazione. Perché da molto in alto il dottor Petacci era benvoluto e protetto. Ed egli, del resto, nella sua copiosa produzione scientifica che con furia di burrasca si abbatteva sulle colonne del giornale, più volte rese atto dell’altissima protezione di cui largamente beneficiava. Al protettore, d’altronde, le teorie scientifiche del dott. Petacci interessavano poco o nulla. Fino a qualche mese avanti egli ignorava assolutamente il nome del pletorico articolista. La prima volta che l’altissimo personaggio aveva sentito pronunziare quel nome era stato sulla spiaggia di Ostia. La presentazione non era avvenuta col medico, sebbene con una sua piacente figliuola di nome Claretta”.

A questo punto il Messaggero comincia a raccontare la notizia più importante, che l’abc del giornalismo avrebbe consigliato di mettere all’inizio della cronaca. Anche gli altri giornali seguono questo strano ordine. Ma si capisce. Mussolini è stato arrestato, è detenuto chissà dove, ma è sempre Mussolini. Anche per questo il cronista non fa il suo nome. È solo un “altissimo personaggio”, una “eminente personalità”.

La cronaca del Messaggero viene ora ripresa testualmente: “L’altissimo personaggio si era concesso un pomeriggio di riposo. La spiaggia era affollata di bagnanti che festeggiavano l’ospite di riguardo, dal quale tuttavia erano tenuti a doverosa distanza per via dello zelo di personaggi secondari che facevano corona al principale. Sapientemente disposti nei punti più strategici, e alcuni addirittura immersi nella sabbia o nelle onde come sirene, numerosi fotografi erano pronti per lo scatto. L’ospite che in attillato costume da bagno metteva in mostra il suo petto abbronzato, gettava intorno occhiate dominatrici. Dalla folla, ad un tratto, profittando di un piccolo vano apertosi tra le file del seguito, una bagnante si precipitò verso il personaggio. Due o tre uomini prontamente le furono addosso. Ma con benigno sorriso l’interessato fece cenno di lasciarla avvicinare. Si trattava, d’altronde, di una giovine donna di cui il succinto costume metteva in vista forme tutt’altro che spiacenti. Claretta era il suo nome: Claretta Petacci, di Francesco Saverio e di Giuseppina Persighetto, maritata Federici (ma quest’ultimo particolare non ha importanza)”.

“Che mai aveva spinto Claretta – dice il testo del Messaggero – a tentare una così inopinata udienza e in una tenuta così fuori dell’ordinario? L’ammirazione, nient’altro che l’ammirazione per l’ospite di quella spiaggia. E all’interessato, essa lo dichiarò senz’altro, con voce commossa al cospetto del mare. ‘Vi ammiro da anni — ella disse. — Sono mesi che vi scrivo quasi ogni giorno. Vi ho mandato anche dei versi…’. Il personaggio corrugò la fronte per concentrarsi nel tentativo di ricordare. Versi ne riceveva tanti e non sempre da sconosciuti, ma spesso non li leggeva. Ma i versi a lui dedicati da quella donna che gli stava davanti dovevano essere più interessanti degli altri. E che potevano essere se non versi di amore?”.

“La conclusione del colloquio fu che la signora Claretta venne invitata a recarsi all’indomani nell’ufficio dell’altissimo personaggio. E il giorno dopo – continua il Messaggero – l’autrice dei quegli introvabili versi era nuovamente a colloquio con l’eminente personalità. Il colloquio fra i due ebbe fasi più delicate. La visitatrice dischiuse il suo animo sensibile all’arte e al sentimento. Gli declamò alcuni suoi versi. Confessò tra l’altro che amava molto i fiori. Questo particolare forse fu decisivo per l’amicizia dei due. Con arte sopraffina di maturo dongiovanni colse la palla al balzo e invitò senz’altro Claretta a visitare il suo giardino. ‘Il mio giardiniere è a vostra disposizione. Darò ordine che vi lascino raccogliere tutti i fiori che a voi piacerà'”

Il pezzo del Messaggero continua a lungo. È un racconto completamente romanzato e del tutto inattendibile; così anche l’incontro nel giardino (di villa Torlonia?), lui vestito da giardiniere, lei che dice non solo di amare i fiori ma anche di suonare il violino e di essere anche pittrice. Non è vero e la mostra personale allestita in fretta al Collegio Romano fu tutta di dipinti commissionati in quattro quattr’otto a un pittorucolo (e tutti acquistati dall'”importante personaggio”).

Poco di vero in tutto questo; ma è vero che è in questo modo che gli italiani vennero a sapere di Claretta e della sua relazione con Benito Mussolini. Una relazione seria, non come tante altre, e lo si capirà fra due anni, quando lui e lei, 62 e 33 anni, moriranno insieme, fucilati dai partigiani, il 28 aprile del 1945 a Giulino di Mezzegra sul lago di Como.

Tutti gli italiani, no. A Roma la voce girava da tempo, sia pure limitata agli ambienti dei gerarchi e ai salotti importanti, con opportuna prudenza e senza troppo importanza: una – si riteneva – delle tante relazioni del Duce, anche se gli incontri con la nuova amante a Palazzo Venezia erano più frequenti che in altri casi e non accennavano a concludersi. I pettegolezzi riguardavano semmai i parenti di Claretta: il padre Francesco Saverio, diventato rapidamente un medico famoso e ricercato; e soprattutto la sorella Myriam, poi diventata Miria di san Servolo e presto soddisfatta nelle sue ambizioni di attrice di cinema. Una enorme montatura pubblicitaria precedette il lancio del primo film: “Le vìe del cuore”, a cui seguirono “L’amico delle donne” e “L’invasore”, tutti subito dimenticati. Un altro pettegolezzo parlava della splendida villa “La Camilluccia”, sulla via omonima, progettata dagli architetti Vincenzo Monaco e Amedeo Luccichenti, notevole esempio del razionalismo italiano, dove i Petacci si trasferirono alla fine del 1939: divisa in 32 vani, distribuiti su due piani, sovrastati da una grande terrazza.

Che le voci circolanti, ma non rese pubbliche dai giornali fino ad oggi, nonostante l’asserito e ritorno alla libertà di stampa, riguardavano non tanto Claretta e la sua storia con Mussolini, ma i parenti e soprattutto la sorella Miria, lo conferma una notizia da Novara pubblicata dalla Stampa di tre giorni fa, il 27. Il titolo: “Il fermo a Meina delle sorelle Petacci. Anche i genitori tradotti al carcere giudiziario. Si ignorano le cause del provvedimento”.

Scrive il quotidiano torinese: ” Da qualche giorno i cittadini di Novara che passano da piazza Vittorio Emanuele guardano con maggiore curiosità, con maggiore interesse, quel massiccio di pietra che un largo fossato divide dal centro urbano e che è il carcere giudiziario, poiché è corsa voce ch’esso ospiti due sorelle che a Roma, e non solo nella capitale, goderono di vasta notorietà per l’appoggio loro accordato da un alto personaggio del tramontato regime. Si tratta dell’attrice Miria di San Servolo e della sorella Claretta Petacci. Esse si trovavano a Milano il giorno in cui fu resa nota la notizia della caduta del regime fascista e, informate che la loro villa a Monte Mario era diventata inabitabile e sconsigliate di ritornare alla capitale, fecero i bagagli e partirono in tutte fretta per Meina, dove già si trovavano i loro genitori. Ma nella ridente villa dove a più riprese si era recato in visita l’altissimo personaggio, esse non trovarono quella pace, quella tranquillità che tanto desideravano. La villa era sorvegliata e nel pomeriggio precedente l’ultimo bombardamento di Torino e Milano essa fu circondata. Tutte le persone presenti furono invitate a prendere posto in un’automobile che attendeva all’ingresso: furono sequestrate alcune valige che — si dice — contenevano indumenti di lusso, gioielli, corrispondenza e documenti, poi, mentre la villa rimaneva vigilata, l’automobile si mosse e con il suo carico giunse a tarda sera, circa alle 23, a Novara, e varcò il portone del carcere per fermarsi nel cortile. Dopo le consuete formalità cui deve sottostare chi anche occasionalmente viene ospitato nelle carceri, le due sorelle ed i loro genitori sono stati allogati in celle separate”.

Dopo aver detto che “l’albergo Coccia, invitato a fornire il cibo alle detenute, si è recisamente rifiutato” e che “l’albergo Pozzo invece si è assunto l’incarico di provvedere a quanto loro abbisogna”, il giornale scrive: “Ma quale è la causa di questo fermo? A questa domanda nessuno può rispondere in modo esauriente. L’autorità mantiene su questo fermo il massimo riservo. Neppure rispondono affermativamente che il fermo sia avvenuto. L’operazione è stata effettivamente condotta usando ogni precauzione di segretezza; ma ciononostante, come si è visto, la notizia è trapelata”.

Si saprà dopo che le sorelle Petacci saranno messe in libertà il 9 settembre, dopo l’annunzio dell’armistizio; ma già prima, fra quattro giorni, il 3, la Stampa pubblicherà un articolo di fondo sul parlare o non parlare degli scandali del passato regime: “Alcuni lettori, giustamente pensosi delle sorti del Paese e dei gravi problemi posti dalla tragica situazione a cui la dissennata politica del fascismo ha condotto l’Italia, ci scrivono per esprimerci delle riserve e dei dubbi su asserite tendenze scandalistiche che, secondo loro, affiorerebbero qua e là nella stampa italiana. Non è inopportuno, ci chiedono, questo dilagare di scandali e di pettegolezzi personali nel momento in cui la Nazione è alle prese con delle formidabili difficoltà, e deve tremare per la sua stessa esistenza? Non sarebbe meglio pensare all’avvenire anziché fare il processo al passato? Carità di Patria non dovrebbe indurre, tutti coloro che hanno la responsabilità di parlare al popolo, a scansare tutto ciò che può rinfocolare gli odii e le animosità, astenendosi dall’approfondire le divisioni tra gli italiani, proprio quando più si impone la concordia e la collaborazione di tutti per uscire dalle angustie e dall’avvilimento presenti?

“Diciamo subito – scrive la Stampa – che noi sostanzialmente apprezziamo il fondamento di queste nobili preoccupazioni, e che esse anzi non ci sono estranee. Siamo, fino a un certo punto, d’accordo con questi nostri lettori. Pensiamo che l’assillo principale degli italiani debba essere oggi ben altro che quello di indagare sulla vita passata di Claretta o di Miria Petacci. Altre sono le questioni le quali si impongono oggi alla nostra attenzione, e comandano la nostra volonterosa cooperazione. Dobbiamo trovare il modo di uscire dalla guerra, e di uscirne quanto più presto e quanto meglio è possibile; dobbiamo preoccuparci dei formidabili problemi economici e sociali di un dopoguerra che non si annuncia davvero idilliaco, dopo tante e così spaventose distruzioni, in cui è andata incenerita la ricchezza accumulata col sudore e con l’intraprendenza costruttiva di più generazioni; dobbiamo ricostruire la nostra vita di nazione su basi libere e civili, riparando i guasti, non solo materiali, di un ventennio di dittatura arbitraria e sovvertitrice. È giusto ammonire il popolo sulla necessità di guardare soprattutto a questi compiti, come a quelli che soli impegnino le energie di tutti i cittadini, dal più alto al più umile. Ma noi pensiamo (e per questo abbiamo detto che siamo d’accordo fino a un certo punto) che anche gli scandali,.di cui la stampa si è occupata in questi giorni, abbiano una loro utilità, e vorremmo quasi dire una loro funzione; noi pensiamo che non mai come oggi è valido il detto latino, che è opportuno che siano fatti gli scandali, beninteso intendendo l’espressione nel suo significato meno volgare e più nobile; pensiamo che luce completa deve essere fatta non solo sulla facciata di quell’edificio che si chiamò lo Stato fascista, ma anche nell’interno, e non solo nelle stanze di rappresentanza, ma anche nelle anticamere, nelle alcove, nelle stesse cucine e negli angoli più riposti e segreti”.

Il meritorio proposito della Stampa finisce qui. Tra giorni, il 9 settembre, il governo Badoglio scomparirà; il 12 Mussolini sarà liberato sul Gran Sasso; il 27 alla Rocca delle Caminate Mussolini riunirà il governo di quella che sarà chiamata Repubblica Sociale. Di Claretta Petacci i giornali parleranno solo alla fine di aprile del 1945, quando si saprà, e qualcuno vedrà, che il corpo di Claretta è appeso a testa in giù, accanto a quello di Mussolini, alla stazione di servizio della Esso in piazzale Loreto a Milano.2


1 Dal preziosissimo archivio storico della “Stampa”, che contiene digitalizzati tutti i numeri del giornale dal 1867: La Stampa – Lunedì 30 Agosto 1943.
Per l’intero archivio vedere La Stampa – Archivio Storico dal 1867.

2 La relazione fra Benito Mussolini e Claretta Petacci, che nel 1936 si separò ufficialmente dal marito Riccardo Federici, un tenente dall’aeronautica militare, continuò con assiduità per il resto degli anni Trenta e i primi anni Quaranta, quasi sempre a Palazzo Venezia. Ogni tanto scenate di gelosia da parte di Claretta e tante lettere appassionate. Due volte la decisione di rompere e due volte la decisione di riprendere il rapporto.

Quando nel 1944 Mussolini guidava da Salò sul lago di Como la Repubblica Sociale, Claretta si trasferì a Gardone, non lontano dalla villa dove risiedeva il suo “Ben”. Il 27 aprile del 1945 insisté per accompagnare Mussolini in uno degli autocarri della colonna di gerarchi fascisti in fuga verso la Svizzera. Nella stessa giornata Mussolini e Claretta furono fermati a Dongo e la mattina dopo fucilati, prima lui, poi lei, lì vicino, a Giulino di Mezzegra. Il giorno seguente, il 29, i due cadaveri furono portati a Milano, in piazzale Loreto, e appesi per qualche ora al distributore di benzina della Esso. In piazzale Loreto il 10 agosto dell’anno prima quindici partigiani erano stati fucilati e i loro corpi esposti al pubblico dai militi della brigata fascista “Ettore Muti”.