18 novembre

La brigata Maiella, una singolare formazione partigiana: volontari repubblicani ma senza colore politico, un reparto militare autonomo, riconosciuto tale dagli alleati;  dall’Abruzzo li  accompagna combattendo fino alla pianura padana e alla vittoria.

 

In questi giorni sta nascendo sui monti dell’Abruzzo una formazione partigiana che avrà alcune peculiari caratteristiche. E’ la brigata Maiella e prende il nome dal massiccio montuoso dell’Appennino centrale, il più alto dopo il Gran Sasso.(1) La brigata non ha un particolare colore politico. Per la sua comprovata organizzazione verrà aggregata come reparto autonomo all’esercito alleato e poi al Corpo italiano di liberazione. Dopo la liberazione delle terre di origine continuerà a combattere, risalendo la penisola fino alla liberazione delle Marche,dell’Emilia Romagna e del Veneto. Il 21 aprile 1945 i “maiellini” saranno i primi, precedendo i reparti alleati, a entrare in Bologna. La loro bandiera riceverà la medaglia d’oro al valor militare. Sul bavero, al posto delle stellette riconducibili all’esercito regio, ci sono due nastrini tricolori;  sono tutti  per la repubblica. All’inizio non hanno uniformi e un valido armamento, ma  con la fiducia ottenuta riceveranno uniformi (britanniche) e armi.

Li comanda Ettore Troilo, un avvocato abruzzese nato nel 1898, volontario nella prima grande guerra, di idee socialiste. Nel gennaio del 1946 sarà nominato prefetto di Milano, succedendo a Riccardo Lombardi, divenuto ministro (2).

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(1) Localmente il toponimo viene scritto con la j (Majella), ma la brigata usa la i (Maiella), per evitare che gli inglesi con i quali ha spesso a che fare ne diano una pronuncia scorretta.

(2) Nel novembre del 1947 fu rimosso da prefetto di Milano dal ministro dell’interno Mario Scelba, ma dopo una drammatica reazione dei partiti di sinistra con le dimissioni del sindaco socialista Antonio Greppi e di tutti i sindaci della provincia venne confermato per intervento del presidente del consiglio Alcide De Gasperi e di Palmiro Togliatti.

 

18 novembre – Di più

“Una vita difficile” è il titolo del libro col quale Carlo Troilo ha raccontato la vita di suo padre Ettore. Ne riprendiamo un largo stralcio.

“E finalmente arrivano il 25 luglio e l’8 settembre del 1943. Il 26 luglio, con un gruppo di amici politici e di avvocati antifascisti, libera dalle carceri di Regina Coeli l’avvocato  Federico Comandini e molti altri noti esponenti dell’anti-fascismo, ivi detenuti. Nei giorni 9 e 10 settembre 1943, con Emilio Lussu ed altri elementi antifascisti dell’Associazione n azionale combattenti, collabora alla organizzazione della difesa di Roma, distribuendo armi alla popolazione civile e partecipando alla disperata resistenza opposta ai tedeschi alla Cecchignola. Occupata Roma dai tedeschi e attivamente ricercato dai nazifascisti, vive per oltre una settimana nascosto presso amici politici finché il 19 settembre 1943 riesce a lasciare la Capitale ed a raggiungere il paese natale in Abruzzo.

“Il 21 settembre 1943 è a Torricella Peligna, dove inizia subito l’organizzazione del movimento di sabotaggio e di resistenza, anche per reagire alle violenze ed ai massacri che i tedeschi compiono ovunque, facendo dell’alto Chietino una zona di terrore. Catturato dalle S.S. tedesche il 19 ottobre a Torricella Peligna, riesce a fuggire dal camion sul quale è stato caricato con altri uomini del paese, si rifugia in un nascondiglio nelle soffitte di casa  e, nella notte, raggiunge la masseria di un vecchio compagno socialista. Qui raduna i primi 15 uomini, quasi tutti contadini, e con loro passa avventurosamente le linee, la notte del 4 dicembre, raggiungendo il comando alleato nella vicina Casoli.

“Intanto Torricella – che rientra nei programmi di ‘terra bruciata’ decisi dai tedeschi per rallentare l’avanzata degli alleati – è minata e praticamente rasa al suolo, come quasi tutti i paesi della zona. Gli abitanti, costretti a sfollare con poche ore di anticipo rispetto all’inizio della distruzione del paese, dalle vicine masserie in cui hanno cercato riparo per la notte sentono le esplosioni delle mine e vedono alzarsi al cielo le fiamme ed il fumo che avvolgono le macerie delle loro case. Tra loro c’è il padre, ormai ottantenne, di Ettore Troilo: della sua bella, antica casa non rimarrà una sola pietra. A Casoli impiega alcuni disperanti giorni per superare la diffidenza degli ufficiali inglesi, non soddisfatti delle informazioni che giungono da Roma sul suo passato antifascista.

“La svolta si verifica con l’arrivo del maggiore Lionel Wigram, che comanda un battaglione di paracadutisti del Royal West Kent Regiment e proviene dal Nord Africa. Baronetto, brillante avvocato, amante dell’Italia e della sua cultura, Wigram sposa totalmente la causa dei volontari abruzzesi ed ottiene che a loro siano affidati dapprima compiti di guide locali (essenziali, visto che gli inglesi non conoscono affatto il territorio) e, ben presto, ruoli di combattimento. Wigram affianca il piccolo gruppo di volontari nell’ultimo e decisivo colloquio al quartier generale alleato, dove Troilo risponde in modo convincente alle domande degli alti ufficiali inglesi – che vedono dovunque “communists” – e fissa quelli che saranno i caratteri distintivi della ‘Maiella’: la apoliticità del gruppo, che sarà organizzato come una formazione militare, senza commissari politici; il volontarismo; l’autonomia, nel senso che sarà alle dipendenze del comando alleato solo per le decisioni militari, riservando agli organi interni l’organizzazione e la disciplina.

“Troilo chiede che i suoi uomini vengano armati e nutriti ma non pagati né premiati singolarmente con denaro. Alla fine, le sue richieste vengono accolte, anche se gli inglesi rifiutano di fornire le divise ai partigiani, che cominciano così la loro azione in tenute del tutto inadeguate al durissimo inverno. Troilo ha ancora ai piedi i mocassini che indossava a Roma l’8 settembre, e molti partigiani portano le “cioce” dei contadini e dei pastori abruzzesi.

“Dopo solo due mesi di azione (durante i quali la ‘Maiella’ ha il suo primo caduto, Mariano Salvati, un anziano contadino padre di dieci figli) il maggiore Wigram spinge i partigiani abruzzesi ad una impresa troppo ardita: espugnare la roccaforte tedesca di Pizzoferrato, un paese a 1.250 metri di altezza, per aprire la strada verso Roccaraso e gli altipiani, isolando le truppe tedesche dell’alto Chietino. Nella notte tra il 3 e il 4 febbraio si svolge – con oltre un metro di neve – una delle più sanguinose battaglie nella storia della ‘Maiella’. Colpiti a tradimento dai tedeschi, che hanno simulato la resa e poi hanno mitragliato gli assalitori, muoiono lo stesso maggiore Wigram, quattro dei suoi uomini e undici partigiani, uno dei quali, Giuseppe Fantini, un ragazzo di 18 anni, è il primo caduto torricellano. Altri dodici partigiani sono fatti prigionieri e tre di loro vengono fucilati. Con il loro sacrificio, Wigram e i patrioti abruzzesi hanno però inferto un duro colpo ai tedeschi, costretti ad abbandonare la loro strategica posizione. Il maggiore inglese è sepolto nel cimitero di guerra anglo-canadese di Ortona.

“L’eco della attività della ‘Maiella’ giunge a febbraio allo Stato maggiore dell’esercito di stanza a Brindisi. Il maresciallo Messe convoca il suo comandante ed esercita vive pressioni perché la formazione entri come un reparto regolare nell’esercito italiano. Troilo ribadisce il carattere spontaneo e volontario della sua formazione e la sua ispirazione nettamente repubblicana, resistendo ad ogni pressione ed ottenendo una soluzione di compromesso, che resta valida per tutta la guerra: la ‘Maiella’ entra alle dipendenze dell’esercito ai soli effetti amministrativi, ma resta assolutamente autonoma per ogni questione attinente alla sua forza ed alla sua organizzazione militare. Il 28 febbraio, con una lettera ufficiale a Troilo, cui viene assegnato il grado di capitano, Messe riconosce la ‘Maiella’ come il primo reparto irregolare di volontari italiani nella Resistenza.

“Ai primi di giugno, dopo aver liberato molti dei paesi della zona, gli uomini della Brigata valicano a piedi la Maiella ed entrano per primi a Sulmona, dove gli stupefatti abitanti avevano preparato manifesti in inglese per salutare i loro liberatori. A Sulmona – con un bilancio di 20 caduti, 23 feriti e 12 prigionieri – termina il primo ciclo operativo della ‘Maiella’, che si riorganizza e si rafforza con l’ingresso di uomini delle bande locali: ‘banda delle bande’ è la efficace definizione che uno storico abruzzese, Costantino Felice, ha dato della Brigata. L’alto Chietino è ormai liberato e non ci sarebbe più ragione per continuare a combattere. Eppure pochissimi patrioti depongono le armi e tutti gli altri, dopo pochi giorni, partono di nuovo per il fronte. Anche grazie a Troilo, hanno maturato una coscienza politica che va al di là della difesa del proprio ‘territorio’.

“La nuova direttrice lungo cui avviene la ritirata dei tedeschi, L’Aquila-Fabriano-Pergola, è affidata al Secondo Corpo polacco e la ‘Maiella’ passa alle sue dipendenze. La novità è che ora i patrioti abruzzesi combattono fianco a fianco con alcuni reparti del risorto esercito italiano, il Corpo Italiano di Liberazione e la divisione ‘Nembo’. La strategia di Kesselring  è quella di ritirarsi molto lentamente, resistendo sulle colline più impervie delle Marche e poi della Romagna. I polacchi utilizzano i montanari abruzzesi per espugnare – spesso assieme ai ‘gurka’ e ai soldati nepalesi – le posizioni più difficili, come Montecarotto, Monte Mauro e Brisighella.

“La battaglia ha un’eco nazionale e porta la fama dei partigiani abruzzesi in tutta Italia. Altrettanto importante la liberazione di Pesaro – difesa dalla divisione corazzata ‘Hermann Goering’ – in cui la ‘Maiella’ combatte strada per strada e casa per casa per quattro giorni e quattro notti consecutivi, con una temerarietà che stupisce lo stesso comando alleato. La Brigata – che via via ha incorporato partigiani marchigiani e romagnoli – conta ormai 1.500 uomini, ha una forte organizzazione e comandanti di grande capacità.

“Il 26 giugno del 1944 Troilo salta su una mina con la sua jeep. Resta per un mese tra la vita e la morte, con gravi ferite e sei costole rotte, all’ospedale di Amandola. Il suo posto è preso dal vice comandante, un omonimo, Domenico Troilo, che i patrioti chiamano “Troiletto” per distinguerlo da Ettore, che sempre chiameranno ‘il comandante’ o ‘l’avvocato’. Domenico ha solo 22 anni, ma conduce i 1.500 patrioti con la capacità e la fermezza di un ottimo generale.

“Il 21 aprile del 1945 i partigiani abruzzesi giungono a Bologna, come sempre a piedi (‘motorizzati a pié’, dice una loro canzone) e poiché una colonna blindata polacca vuole impedire che essi siano i primi ad entrare in città, gli uomini della Brigata si aprono la strada con le armi e sono i primi tra i combattenti italiani a sfilare tra la folla festosa.

“Nei giorni successivi, alcuni reparti della ‘Maiella’, montati finalmente su camionette Ford, si spingono, dopo molti scontri con le retrovie tedesche, fino agli altipiani di Asiago, dove si congiungono con i partigiani locali della Brigata Sette Comuni. Solo qualche foto scolorita ritrae insieme i patrioti abruzzesi ed i loro compagni del Nord: è il primo maggio del 1945.

“La ‘Maiella’ ha avuto 55 caduti, 131 feriti e 36 mutilati; 15 medaglie d’argento, 43 medaglie di bronzo, 144 croci di guerra. È stata la più importante formazione partigiana del Centro-sud, e comunque la prima e l’unica regolarmente riconosciuta dal governo italiano e dal Comando militare alleato e la sola, assieme al Corpo volontari della libertà, decorata di medaglia d’oro al valor militare”.

 

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