16 settembre

Hitler annette al Reich le province di Udine, Gorizia, Trieste, Pola e Fiume, una parte della Slovenia con Lubiana e tutto il Trentino-Alto Adige con Belluno. Mussolini non ne sa niente e, con garbo, protesterà.

Da oggi l’Italia è più piccola di parecchie centinaia di chilometri quadrati e il Reich tedesco è aumentato di altrettanto.

Il 10 settembre Hitler ha convocato a Berlino i capi del nazismo: che cosa si deve fare in Italia dopo la caduta del fascismo, l’arresto di Mussolini e il “tradimento” di Vittorio Emanuele III? Alla riunione partecipano Joseph Goebbels, Martin Bormann, Joachim von Ribbentrop, Heinrich Himmler, Hermann Göring, Wilhelm Keitel, Alfred Jodl e Karl Dönitz. La decisione è di costituire in Italia un governo collaborazionista e di annettere al Reich le province di Udine, Trieste, Gorizia, Pola, Fiume e la parte di Slovenia, con Lubiana, annessa all’Italia da Mussolini (sarà chiamato “Adriatisches Küstenland”, cioè “litorale adriatico”) e il Trentino-Alto Adige insieme alla provincia veneta di Belluno (il nome: “Alpenvorland”, cioè “Territorio prealpino”). Il governo del “Litorale” viene affidato al gauleiter (carica corrispondente a presidente di regione) della Carinzia Friedrich Rainer e quello del Trentino-Alto Adige al gauleiter del Tirolo Franz Hofer.

Un francobollo della serie stampata ma non emessa nel 1944

Un francobollo della serie stampata ma non emessa nel 1944

L’austriaco Hitler realizza così un suo vecchio sogno: l’annessione di tutte quelle terre che erano antichi territori asburgici e storicamente le province di frontiera dell’Impero austriaco. In Italia i confini tornano così quelli del 1915, prima della grande guerra.

Il 12 settembre, poche ore prima dell’annuncio dell’avvenuta liberazione di Mussolini dal Gran Sasso, Hitler ha affidato al ministro degli armamenti Albert Speer il compito di attuare le decisioni prese, “scavalcando i competenti uffici italiani”. Vista la nuova situazione venutasi a creare nel pomeriggio dello stesso giorno, Speer chiede ad Hitler di revocare il decreto, certo di incontrare la sua approvazione, ma rimane sorpreso sentendo Hitler respingere la sua proposta. Speer fa allora osservare al Fuhrer che la possibile creazione di un nuovo governo fascista sotto la presidenza di Mussolini può invalidare la precedente decisione. Hitler riflette un momento, poi dice: “Sottoponga nuovamente alla mia firma quel decreto, però con la data di ieri: così non vi sarà alcun dubbio che la liberazione di Mussolini non ha influenzato la mia decisione”1.

Le regioni annesse sono considerate “zona di operazione”: l’OZAV (“Operationszone Alpenvorland”) ossia zona d’operazione delle Prealpi, comprendente le province di Bolzano, Trento e Belluno, e l’OZAK (“Operationszone Adriatisches Küstenland”) zona d’operazione del Litorale Adriatico, comprendente le province di Udine, Gorizia, Trieste, Fiume, Pola.

Nel restante territorio vengono in fretta istituiti in questi giorni i comandi territoriali militari (“Militärkommandanturen”): a Verona, Padova, Torino, Ferrara, Genova, Parma, Brescia, Bologna, Milano, Alessandria e Massa Carrara. Il Militärkommandant ha poteri sulle forze armate operanti nel suo territorio, siano esse della Wehrmacht, delle SS o di polizia (“Ordnungspolizei”), ma anche di “esercitare la censura sulla radio e sulla stampa nel suo territorio”. Il Comando emanerà ordini diretti alla popolazione, mediante bandi, senza dover avere la preventiva approvazione del governo fascista2. Inoltre provvederà all’impiego delle forze di sicurezza per quanto riguarda l’attività delle bande partigiane e i casi di sabotaggio. Dal Militarkommandant dipendono le compagnie di sicurezza italiane, con elementi provenienti dall’Arma dei carabinieri e della Milizia, con funzioni di polizia militare e di repressione antipartigiana. In testa a tutto c’è il “Bevollmächtiger general des Grosses Reiches”, cioè il “generale plenipotenziario del Grande Reich”. È il generale Rudolf Toussaint; ha un cognome francese, che corrisponde all’italiano “Ognissanti”; la sua sede è a Verona3. Quello che conta è però il maresciallo (poi feldmaresciallo) Albert Kesselring, che, con sede a Frascati, è il comandante di tutte le truppe tedesche in Italia4.

L’autorità del governo della repubblica Sociale che Mussolini stabilirà a Salò è quindi del tutto formale, ma, accanto ai gagliardetti neri del fascismo, continuerà a sventolare la bandiera tricolore, sia pure senza più lo stemma sabaudo. Nella zona delle Prealpi e in quella del Litorale Adriatico l’esposizione della bandiera italiana è invece proibita.


1 Così riporta Aurelio Lepre in La storia della Repubblica di Mussolini, Mondadori, 1999.

2 La lettera è in ACS, RSI, b 16, f 91 ed è riportata da Silvio Bertoldi, Salò, Rizzoli BUR, 2000. Che Mussolini fosse stato tenuto all’oscuro di tutto e che anzi si facesse credere che avesse avallato l’annessione emerge da una lettera che l’11 febbraio 1944 indirizzerà all’ambasciatore tedesco presso la RSI, Rudolph von Rahn: “Vi mando qui acclusa una comunicazione di un comando tedesco diretta al Comando della Guardia Nazionale Repubblicana, nella quale è detto che ogni sovranità italiana sulle province alpine e del Litorale è temporaneamente sospesa in seguito ad accordi col Duce. Voi sapete, caro Ambasciatore, che non ho mai avuta preventiva notizia, nemmeno ufficiosa, della costituzione dei due Commissariati del Voralpenland e del Küstenland e che, del pari, conobbi i nomi dei due commissari dopo che si erano insediati e avevano già allontanato le autorità civili italiane. Quattro giorni dopo la costituzione ufficiale del mio governo io dirigevo una lettera al Fuhrer nella quale dicevo che ‘la nomina di un Commissario supremo di Innsbruck per le province di Bolzano, Trento e Belluno ha suscitato una penosa impressione da ogni parte d’Italia’”. Nella lettera Mussolini sostiene quindi che i provvedimenti presi saranno sfruttati dalla propaganda nemica e “il solo a profittarne sarà il traditore Badoglio”.

3 Il potere politico è affidato all’ambasciatore Rudolf Rahn, che dipende direttamente dal ministero degli esteri di Berlino. La sua sede sarà Fasano del Garda, vicino a Salò, dove sarà concentrato il governo della repubblica Sociale.

4 Il maresciallo Albert Kesselring ha 58 anni; il 25 ottobre del 1944 sarà gravemente ferito in un incidente stradale e il suo posto in Italia verrà preso dal generale Heinrich Vietinghoff. Appena guarito, sarà nominato comandante del settore sud del fronte occidentale. Catturato il 6 maggio 1945, due giorni prima della fine della guerra, Kesselring sarà processato in Italia per l’eccidio delle Fosse Ardeatine e condannato a morte da un tribunale alleato; la sentenza sarà poi commutata nel carcere a vita. Scarcerato nel 1952, farà ritorno in Germania, dove si unirà a circoli neonazisti bavaresi. Morirà, per un attacco di cuore, nel luglio del 1960.


Con la collaborazione di Franco Arbitrio

16 settembre – Di più

Manifesti durante l'occupazione tedesca di Cortina

Come è avvenuto il passaggio dei poteri dalle autorità italiane a quelle tedesche nelle province (Trento, Bolzano, Belluno, Gorizia, Trieste, Udine, Pola, Fiume) annesse alla Germania col decreto firmato da Hitler l’11 settembre (in realtà il 12)?

Un racconto illustrato da interessanti manifesti è stato fatto da Feliciana Mariotti nel numero 1 – anno LXXXI (estate 2014) della rivista Cortina” da lei diretta. Ne diamo una sintesi, arricchita dalla lettura dei manifesti custoditi nell’archivio della rivista ed esposti al pubblico dal 3 al 30 agosto 2014 nell’ingresso del cortinese hotel Montana.

10 settembre. Due giorni prima del decreto di Hitler un anonimo Comando militare germanico “proclama” l’ occupazione della zona. Gli ordini sono pesanti: “Chiunque compia qualsiasi atto ostile contro le truppe di occupazione o comunque faccia propaganda sovversiva sarà immediatamente passato per le armi”; “Chiunque sia in possesso di armi da fuoco, anche se denunciate, è tenuto a versarle immediatamente al Comando stazione dei CC.RR.”; “Durante il coprifuoco (dalle ore 23.30 alle ore 4) è fatto assoluto divieto di circolazione dei civili”; “E’ fatto tassativo e permanente divieto di riunione, sia in locali chiusi quanto all’aperto, di più di tre persone, per cui è severamente proibito tenere adunanze, manifestazioni, conferenze od altro in pubblici esercizi o in locali privati”; “Tutti gli uffici pubblici continueranno a funzionare con l’attuale personale, ma alle dipendenze del Comando militare”. Infine: “I trasgressori saranno senz’altro arrestati e giudicati dal Tribunale militare”.

17 settembre. Un manifesto, firmato dal comandante del Comando militare germanico, Harold Schweckendiek, che – dice Feliciana Mariotti – è sposato a una cortinese, Jolanda Apollonio, ordina che “tutti i militari reduci qui domiciliati sono tenuti a presentarsi immediatamente a questo Comando militare”; “tali elementi serviranno per formare un corpo di guardie civiche (Heimatwehr), corpo che verrà adibito ai servizi d’ordine pubblico locale“.

27 settembre. Un manifesto firmato dallo stesso comandante “comunica”: “In data odierna sono messi in circolazione i marchi di occupazione valevoli in Italia, detti Reichskreditkassenscheine, valuta valevole in tutti i territori occupati dalle Forze armate germaniche”; “I suddetti marchi possono circolare al pari della lira italiana e servire nelle operazioni di pagamento”; “Il cambio dei marchi è fissato in lire 10 per un marco”.

8 ottobre. Un manifesto ripete l’ordine di consegnare armi (anche pistole e fucili da caccia), munizioni e equipaggiamenti militari.

12 ottobre. Un manifesto scritto in tedesco e in italiano “avvisa” che il coprifuoco è prolungato fino alle 5, che ristoranti, caffè e cinema devono chiudere alle 23 e che dopo le 22 è vietata ”la somministrazione di cibi e bevande ai sottufficiali e truppe delle Forze armate germaniche”.

Fin qui i manifesti presentati. Niente sul divieto di esporre la bandiera tricolore, sia pure senza lo stemma sabaudo, e nessun richiamo alla Repubblica sociale di Mussolini. Niente (salvo un breve accenno a un progettato reparto di guardie civiche) anche sull’arruolamento dei militari (pochi in circolazione) che avevano lasciato l’esercito regio dopo l’armistizio dell’8 settembre e non erano stati sequestrati e trasportati in Germania e niente sui giovani delle classi militarizzabili.

Ne abbiamo parlato con un vecchio amico, Rolando Lancedelli, uno dei due paleontologi (l’altro è Rinaldo Zardini) che sulle montagne di Cortina ha trovato e messo insieme la maggior parte di quella bellissima raccolta di fossili che è nel museo paleontologico del paese, uno dei più importanti al mondo.

Nel 1943 Lancedelli aveva 16 anni e come altri fino ai 18 anni venne trasferito in val Pusteria in un reparto militare che si richiamava alla Hitlerjugend, l’organizzazione della gioventù tedesca. Uniforme tedesca e addestramento militare, con obbiettivi di cui si parlava (fra cui la lotta antipartigiana), ma senza immediati coinvolgimenti. Obbiettivi diversi, come l’invio su uno dei fronti di guerra, erano progettati per i cortinesi che erano stati militari nell’esercito italiano e che, arruolati e riuniti anch’essi in reparti in val Pusteria, subivano un addestramento più pesante. Non mancava chi ricordava loro che i loro padri erano stati militari dell’esercito asburgico durante la prima guerra mondiale. Una grande targa nel cimitero locale ha una lunga serie di nomi e cognomi italiani di morti soprattutto in Galizia.

Un altro dei manifesti custoditi da Feliciana Mariotti è firmato dal podestà di Cortina, il cortinese Angelo De Zanna, che, il 29 ottobre, invita la cittadinanza a contribuire all’assistenza dei militari tedeschi ricoverati negli ospedali militari. Già da tempo Cortina, ricca di alberghi e sede, soprattutto, del grande istituto Codivilla1, è diventata una città ospedaliera delle Forze armate tedesche2. Un’iniziativa del comune era stata anche quella di pubblicare un giornale in tedesco per i tedeschi, il “Dolomiten-Post”, sottotitolato “deutsche soldatenzeitung für die lazzarettstadt Cortina”.


1 Il famoso Codivilla di Cortina ha una lunga storia. Nacque nel 1909 come Istituto elioterapico per iniziativa di Alessandro Codivilla, alto dirigente dell’ospedale fondato a Bologna alla fine dell’Ottocento dal chirurgo Francesco Rizzoli, che, dopo aver acquistato il maestoso monastero di San Michele in Bosco (che costituisce la parte monumentale dell’ospedale propriamente detto), lo donò alla Provincia perché ne facesse un centro specializzato in ortopedia. Erano i tempi in cui la tubercolosi (soprattutto polmonare ed ossea era una malattia molto diffusa in tutte le classi sociali e per la quale non esistevano ancora terapie mediche. Una proposta curativa fu quella del sole e dell’aria pura, la cosiddetta elioterapia, per cui nacquero in ambienti di alta montagna istituti specializzati e ovviamente destinati ai ceti più agiati. L’ospedale di Davos dette l’ispirazione a Thomas Mann per la sua “Montagna incantata” del 1912.

A Cortina l’istituto elioterapico Codivilla fu distrutto durante la prima guerra mondiale e ricostruito nel 1923 da Vittorio Putti, anche lui dell’Istituto Rizzoli di Bologna e allievo di Alessandro Codivilla. Putti aggiunse un altro padiglione e, con la diminuzione dell’incidenza tbc e la nascita e la diffusione degli sport sciistici, si fece specializzato in ortopedia e diventò così l’Istituto ortopedico Codivilla-Putti.

2 Finita la guerra nel 1945 il Codivilla continuò ad essere un ospedale militarizzato per i militari feriti, soprattutto inglesi.

Ecco, in una pubblicazione inglese, l’Italia del 1944: Regno d’Italia al Sud e Repubblica Sociale senza le province di Trento, Bolzano, Belluno, Gorizia, Trieste, Fiume e Pola.

Ecco, in una pubblicazione inglese, l’Italia del 1944: Regno d’Italia al Sud e Repubblica Sociale senza le province di Trento, Bolzano, Belluno, Gorizia, Trieste, Fiume e Pola.


– Dopo l’annessione alla Germania delle province di Belluno, Gorizia, Udine, Trieste e Fiume, oltre al Trentino Alto Adige, decisa da Hitler nel settembre (si veda sopra), un progetto germanico era di costituire una repubblica di cosacchi in Carnia, la regione che è parte del Friuli e amministrativamente della provincia di Udine. Ne parla un bel libro di Piero Arrigo Garnier, edito da Mursia nel 1990, “L’armata cosacca in Italia”, e un romanzo storico-letterario di Carlo Sgorlon, “L’armata dei fiumi perduti”. E’ un evento del 1944-1945, ma è legato all’annessione di quelle terre al Reich tedesco e riteniamo utile pubblicare un racconto di Carlo Scarsini, antico redattore dell’Ansa, di cui fu corrispondente dal Cairo, da Mosca e da New York; ed è un friulano che – diciannovenne-ventenne a Udine – ha vissuto quella vicenda.

“L’occupazione cosacca e caucasica dell’alto Friuli e della Carnia tra il 1944 e il 1945 FU decisa da Hitler per dare una patria provvisoria, o forse no, a quei circa quaranta mila ufficiali e soldati (con famiglie al seguito) che, inquadrati nel corpo d’armata Wlassow dell’Armata Rossa, disertarono, quando i carri armati te¬deschi avevano raggiunto il Caucaso e le porte di Mosca, per unirsi alle truppe del Terzo Reich e per seguirle poi nella loro ritirata verso occidente.
“Non era un’armata brancaleone, anzi; disciplina, organizzazione, grande rispetto della catena di comando, spirito di corpo, orgoglio identitario, massima cura nell’abbigliamento campale e di parata finché ciò fu possibile: ecco alcune caratteristiche delle due divisioni formate con le tante etnie russo-asiatiche (kazaki, calmucchi, tàrtari, turkestani, turco-mongoli, circassi) al comando del generale Andrei Andreievich Wlassow, già eroico difensore di Kiev e di Mosca in nome di Stalin. Egli però aveva già combattuto con l’esercito “bianco” con¬tro i bolscevichi più di vent’anni prima.
“Nella sua mente, quando Stalingrado era ancora in mano tedesca, era maturata l’idea che, con la vittoria dell'”ordine nuovo” hitleriano e il crollo della dittatura sovietica, le avite terre del basso Don, del Volga, del Terek e del Kuban sarebbero tornate in possesso dei discen¬denti dell’orda d’oro con le lucenti sciabole e i colbacchi alti di pel¬liccia bianca o nera. Va ricordato che un altro motivo dell’impianto in Friuli delle forze cosacco-caucasiche nel 1944 (prima avevano vissuto da nomadi tra Romania, Bulgaria, Polonia e Cecoslovacchia) fu anche quello di contrasto alla guerriglia partigiana in Carnia, in cui era molto forte la componente comunista.
“Nei carriaggi che percorrevano le strade della nuova “Kosakenland” c’era persino una tipografia mobile che stampava manifesti di propaganda in italiano e periodici in cirillico: “Nasha Zemlià” e “Novaja Zemlià”.

“Queste straordinarie colonne umane (militari e civili, poiché ne facevano parte intere famiglie) si accampavano nei villaggi e lungo i fiumi delle cupe vallate carniche in uno scenario pittoresco di bandiere, gonfaloni, stendardi orifiamme e gualdrappe della vecchia Russia zarista (con 15 mila cavalli e pure molti cammelli) e vivevano tutte nella venerazione di un supremo comandante, il leggendario Atamano Piotr Nikolajevi Krassnoff, valoroso generale di cavalleria contro i rossi nel 1919-1921, poi esule in Occidente, autore del libro ‘Dall’Aquila imperiale alla Bandiera Rossa’, che ebbe larga diffusione in 20 lingue e quindi in tutto il mondo.
“Crollato il Terzo Reich, Hitler suicida, gli Alleati al Brennero e i marescialli di Stalin a Berlino e a Vienna, i notevoli resti dell’armata cosacca in Carnia riparano in Austria. Qui si apre un tuttora oscuro capitolo politico-diplomatico. Pare ci fosse un accordo con gli Inglesi che garantiva la salvezza a Krassnoff e ai suoi generali, trasferendoli nelle colonie africane o in Austra¬lia. Ciò che accadde fu ben diversamente tragico. Le autorità di occupazione britanniche in Stiria e in Carinzia, accampando gli accordi di Jalta, consegnarono i Cosacchi ai Sovietici. In quei giorni spaventosi del maggio 1945 molte centinaia di ufficiali e soldati “nemici” dell’Urss scelsero il suicidio e si buttarono con carriaggi e cavalli giù per gli argini ripidi della Brava, annegando nei gorghi impetuosi di quel fiume austriaco.
“Krassnoff, insieme con altri generali “bianchi”, fu pubblicamente impiccato sulla Piazza Rossa con lo sguardo rivolto alla Torre Spasskaia ai primi del 1947 dopo un prolungato e lugubre soggiorno alla Lubjanka.